POPULISMO

POPULISMO

Maggio 1, 2024

Quale è stato l’impatto di internet sulla politica?

Partirei da Tangentopoli. Nel Secondo dopoguerra i Partiti in Italia hanno giocato un fondamentale ruolo di intermediazione. In quell’epoca il politico non era solo espressione di una volontà popolare, ma anche una guida intellettuale. Era, come diceva Gramsci, organico a certi interessi e movimenti. Tutto questo è finito. Sono successe tre cose importanti. È finita la Guerra Fredda e la contrapposizione fra i blocchi che in fondo aveva per decenni contribuito a tenere in piedi quella struttura: la DC guidava un certo conservatorismo per conto degli USA e il PCI guidava un riformismo per conto dell’URSS. USA e URSS sono spariti dalla politica italiana. Non solo, il popolo degli anni Novanta non era più quello quasi analfabeta degli anni Quaranta. Poco dopo è arrivata internet e i social, cosicché ora quasi tutti possono farsi un’idea – giusta o sbagliata – su qualsiasi argomento. Tangentopoli, inoltre, ha messo in luce il patto scellerato fra industria e politica. I partiti come strutture di guida e intermediazione avevano bisogno di soldi e glieli dava l’industria in cambio degli appalti in un contesto economico estremamente statalista erede del Fascismo è delle idee comuniste di collettivizzazione. Ma il popolo degli anni Novanta non voleva più essere guidato. È nato così il populismo, che ha anche la faccia buona di autonomia dei cittadini. Berlusconi lo ha capito per primo. Ed è stato il primo populista. Non più guida del popolo, ma espressione della sua pancia. E sono poi venuti tanti altri, da Grillo a Salvini fino alla Meloni. I partiti sono spariti. I politici, che prima prendevano i soldi per darli al partito, ora se li mettono in tasca. Internet e i social hanno fatto si che il dibattito politico si spostasse dalle piazze guidate dai politici alle piattaforme guidate dalla visibilità che ognuno cerca. In tutto questo c’è del buono. È inutile essere nostalgici di un passato in cui eravamo un Paese a sovranità limitata periferia di USA e URSS costituito da masse di ignoranti facilmente manovrabili. È vero che la democrazia è in crisi, ma è anche vero che la democrazia della prima repubblica aveva limiti enormi. Oggi l’organo di intermediazione della politica non può più essere il partito, ma deve essere l’istruzione. E noi, rispetto a tante altre democrazie non siamo messi così male. La nostra scuola primaria è tra le migliori del mondo. La nostra scuola secondaria è dignitosa, se la paragoniamo ad esempio a quella USA. Certo la Finlandia fa meglio è dobbiamo migliorare tanto. La nostra università non ha grandi eccellenze come quelle anglosassoni, ma ha una media, che è la cosa che conta di più dal punto di vista della cittadinanza, di tutto rispetto. È nella formazione che si gioca la partita politica del futuro, non nel ritorno all’ideologia e neanche nella società civile. Una democrazia del popolo – non dobbiamo avere paura a dirlo – cioè di tutti, si basa su una buona istruzione. E quindi oggi fondamentale una radicale riforma della paideia. Le persone vanno messe in condizione di comprendere la complessa realtà in cui vivono. La storia insegna che qualsiasi cosa che incontriamo non è un dato, ma il risultato delle azioni umane. La fisica insegna come modellare matematicamente le situazioni complesse. Per fare storia occorre conoscere la lingua italiana e per fare fisica occorre conoscere bene la matematica. Questa è la paideia di cui abbiamo bisogno per superare gli aspetti degeneri della democrazia populista.

Il ponte galleggiante – Ortiche

Il ponte galleggiante – Ortiche

Aprile 26, 2024

Erano anni che desideravo accostarmi alla narrativa di Alice Munro, vincitrice di tutti i maggiori premi letterari e considerata un’autentica maestra nell’arte del racconto (forma letteraria che adoro). L’occasione buona mi si è presentata grazie a un volumetto – pubblicato qualche anno fa in supplemento al Sole 24 Ore – che contiene due racconti dell’autrice canadese: «Il ponte galleggiante» e «Ortiche».  Definire «deludente» la mia prima impressione è un pietoso eufemismo. Le due storie – rigorosamente prive di trama – vivono di spunti desolati, situazioni patetiche, personaggi tristissimi e interminabili descrizioni (persino l’odore di un sandalo di plastica a contatto con i piedi sudati della protagonista ci viene descritto con indesiderata dovizia di particolari). Di cosa si parla nei due racconti? Di malattie, di scritte sui muri di persone sole e arrabbiate con la vita, di una donna che fa la chemio, di un uomo che lavora con giovani detenuti, di persone emarginate che vivono in desolanti bidonville, di un uomo che durante una manovra stira il figlioletto con la propria auto… probabilmente, se Il Sole 24 Ore avesse deciso di inserire un terzo racconto, la Munro ci avrebbe “deliziato” con le vicende di famiglie disfunzionali, nonni in carrozzina, genitori separati, figlioletti con bromidrosi plantare, cani affetti da cimurro (…) Che fare? Concedo una seconda chance a colei che Franzen ha definito «La più grande narratrice vivente del Nord America» oppure prendo atto che la narrativa di Alice Munro fa a pugni con la mia sensibilità estetica? Forse è meglio che lasci le opere della Munro all’Accademia Svedese e agli Adelphiani, e che torni a godere con le storie di Roald Dahl, King, Buzzati, Camilleri…

Incontro con il poeta, scrittore e giornalista José Pulido, traduzioni di Yuleisy Cruz Lezcano

Aprile 15, 2024

L’ESTRATTO Un amo cade in profondità con l’esca della speranza le persone tirano la lenza pescandosi da sole quel dolore si chiama disperazione. La vita è un cammino verso il vuoto il vuoto non è mai fuori ogni credente prega nel senso…

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