LA FILOSOFIA

LA FILOSOFIA

Gennaio 10, 2025

C’è un pregiudizio duro a morire in filosofia. Può essere interessante ricostruire l’ambiente in cui hanno operato, per esempio, Crisippo o Hegel, capire meglio che cosa hanno detto, spiegarlo, ecc. MA QUESTA NON È FILOSOFIA! Si chiama “storia della filosofia”, e usa metodi in parte simili ad altri tipi di storie. C’è poi un’altra attività, che benché non abbia la certezza della matematica, è comunque una forma di razionalità, fatta di argomenti e di discussioni. Questa si chiama FILOSOFIA. Kant e Aristotele facevano filosofia e in sede teorica vanno discussi in questo modo razionale e non storico. Detto questo, va però aggiunto che i problemi filosofici sono talmente difficili e complessi, che leggere i grandi autori del passato aiuta ad affrontarli, perché ci consente di uscire dai nostri pregiudizi, dalla nostra prospettiva limitata, dalle assunzioni implicite. Per favore, però, non confondiamo la filosofia con la storia della filosofia. Andiamo oltre questo stolido storicismo!

OLTRE KANT

OLTRE KANT

Gennaio 6, 2025

Più ci penso, meno l’impianto generale della filosofia di Kant mi convince. Aldilà dell’infinità di argomenti, definizioni e analisi originali e profonde, Kant sbaglia nel considerare la matematica e la fisica del suo tempo come definitive. La matematica e la fisica non sono mai definitive. Irrigidisce la soggettività caricandola di tutto il peso conoscitivo. Arrivando così a una forma di scetticismo. Dopo di che nell’ampio spazio dell’ignoto, la cosa in sé, piazza dei postulati dedotti dalla ragione, cioè libertà, immortalità dell’anima ed esistenza di Dio. Se, invece muoviamo dalla fallibilità delle scienze, ma dalla loro parziale capacità di comprendere come stanno le cose, che sembra un’epistemologia molto più ragionevole, arriviamo a una situazione molto diversa. Da un lato la morale deve fare i conti non tanto con i principi della ragione, ma con quello che abbiamo capito della realtà. Dall’altro, l’ignoto, che non è la cosa in sé, ma l’orizzonte dell’ignoranza, che si amplia a ogni nuova conoscenza, è il luogo della fantasia, delle emozioni e delle speranze. Pensando a esso, immaginiamo mondi, diamo libero corso alle nostre passioni e desideriamo ciò che non sappiamo se ci sia o non ci sia.

Riconversione alla Società Post-Materialistica della pubblica Felicità – Felice Soldano

Gennaio 3, 2025

Felice Soldano, con il suo libro Riconversione alla società post materialistica della pubblica felicità, ci offre una riflessione profonda e ambiziosa su una delle più grandi sfide del nostro tempo: come trasformare una società basata sul materialismo e sul consumo in una…

UN ANNO SULL’ALTIPIANO

UN ANNO SULL’ALTIPIANO

Gennaio 1, 2025

Ho trovato il tempo, in questi giorni di ferie, di leggere Un anno sull’altipiano, di Emilio Lussu. Libro di notevole valore letterario e denuncia dell’insensatezza della guerra, che racconta alcuni episodi della Prima guerra mondiale sul Carso. Quello che viene narrato dovrebbe essere realmente accaduto, ma gli storici hanno mostrato che le omissioni e le licenze letterarie sono tante, volute o non volute. Due cose sono fastidiose. In primo luogo il protagonista è sempre perfetto, buono, forte, intelligente, coraggioso. Il che di sicuro è in parte falso. In secondo luogo, tutti i capi sono incompetenti, folli e sanguinari, quasi delle macchiette, delle caricature, il che è stato contestato. Insomma nel libro aleggia uno spirito populista ante litteram: i poveri sono buoni e raggirati dalle élite. L’uomo della provvidenza, il protagonista, si fa carico di attenuare questa situazione. Queste critiche non mettono in discussione il valore del libro, ma vogliono sottolineare che la lettura del volume va opportunamente guidata. Il testo non è un resoconto storico e anche se la denuncia della guerra ha valore, è latore di un messaggio politico quantomeno controverso.

L’ONESTO MESTIERE DEL FILOSOFARE

L’ONESTO MESTIERE DEL FILOSOFARE

Dicembre 28, 2024

PERCHÉ È IMPORTANTE LA RICERCA SCIENTIFICA?

Le ragioni sono almeno tre. E la terza mi sembra la più importante. In primo luogo, realizzare applicazioni tecnologiche che migliorino la qualità della nostra vita. In secondo luogo per conoscere, poiché è sempre meglio sapere che non sapere. E questi sono i risultati della ricerca, ma c’è qualcosa di ancor più importante, cioè il processo. Dedicare parte della propria vita all’apprendimento o allo studio o alla ricerca rende la nostra vita migliore. Su questo abbiamo anche dati empirici. Gli studi del grande psicologo americano Mihály Csíkszentmihályi hanno mostrato l’importanza dell’esperienza del cosiddetto “flow” (flusso), cioè quello stato mentale in cui affrontiamo un compito non banale, ma neanche troppo difficile. Ma non è solo questo. Apprendere, ancor più che sapere, amplia il nostro senso di libertà, ci rende meno dogmatici e più tolleranti. Se il senso profondo della ricerca è il terzo, allora ne segue che:

1. La professionalizzazione degli studi proposta dal cosiddetto Processo di Bologna riguardante l’istruzione è perlomeno in parte sbagliato. Non si studia solo per trovare un lavoro, ma anche e forse soprattutto, per studiare.

2. La scelta di specializzare i saperi e parcellizzarli, tipica del mondo di oggi, è almeno in parte errata. Infatti, lo scopo non è solo conoscere il dettaglio, ma anche capire l’insieme. Capire l’insieme, che è un’attività tipicamente filosofica, è una “strana bestia”. Infatti, dopo che l’hai colto sembra banale, ma coglierlo è molto difficile, perché sfugge e si nasconde.

In conclusione, quale è il senso profondamente umano della vita di uno studioso? Certamente fare scoperte importanti. Ma questo capita a pochi. Invece è fondamentale creare e favorire situazioni in cui le persone studiano. Questa mission è ancora più importante in filosofia, dove non è così chiara – come nella scienza – la nozione di scoperta. Infatti, in filosofia le “grandi scoperte” sono soprattutto creazioni di nuovi modi di pensare. E questi hanno non solo un impatto positivo, poiché aiutano a sviluppare nuove argomentazioni, ma favoriscono anche pensiero unico, emuli, e improprie generalizzazioni. Si pensi a Hegel e David Lewis. Forse, parafrasando Giulio Preti, meglio essere un umile operaio della filosofia, che fa meno danni.

Administrative Behavior, 4th Edition: A Study of Decision-Making Processes in Administrative Organizations

Administrative Behavior, 4th Edition: A Study of Decision-Making Processes in Administrative Organizations

Dicembre 24, 2024

Domanda difficile. Prima di tutto, un chiarimento metafisico: quando si parla di libertà politica, ci si riferisce alla sensazione individuale di sentirsi liberi. Che poi questa sia o meno libero arbitrio è un’altra questione. Come dice Pettit, nel primo capitolo del suo capolavoro, Repubblicanism, in una società libera non devono esserci regole arbitrarie, cioè regole di cui non si conosce la ragione. Questa però è al massimo una condizione necessaria, ma non sufficiente. Occorre infatti comprendere in questo contesto che cosa sia una ragione. Una buona ragione per limitare la nostra libertà potrebbe essere che la nostra azione potrebbe limitare a sua volta la libertà di qualcun’altro. Ci stiamo muovendo in circolo. Occorre capire quando una regola è inutile, cioè quando essa limita insensatamente la libertà di qualcuno. Nel diritto privato, ci sono tante regole che servono a evitare che qualcuno persegua i propri interessi a danno di qualcun’altro. E questo va bene. Il diritto pubblico serve poi a tutelare la libertà di agire politicamente. E questo va bene. Poi, il diritto amministrativo regola i nostri comportamenti in relazione e all’interno della pubblica amministrazione. Le regole del diritto amministrativo tutelano l’interesse pubblico. Sarò brutale. L’interesse pubblico è una somma di libertà. La pubblica amministrazione gestisce delle possibilità di agire da parte dei cittadini, salute, istruzione, tasse e imposte in entrata e uscita, trasporti, ecc. Queste possibilità vanno gestite equamente, cioè garantendo a tutti e tutte pari opportunità e soddisfazione dei bisogni fondamentali. E qui si apre una questione fondamentale, che il grande Herbert Simon ha chiarito nel suo capolavoro The administrative behavior. Le regole amministrative non devono cercare la distribuzione OTTIMALE delle opportunità e del soddisfacimento dei bisogni, ALTRIMENTI ACCADE QUELLO CHE OGGI VEDIAMO NELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI, CIOÈ IL PROLIFERARE DI REGOLE CHE AVREBBERO LO SCOPO DI CERCARE LA SOLUZIONE OTTIMALE E DI FATTO LIMITANO INUTILMENTE LA LIBERTÀ. Simon ha mostrato che nell’amministrazione perseguire l’ottimo è estremamente dispendioso, portando a ottenere il risultato opposto, cioè qualcosa non solo non ottimo, ma neanche soddisfacente. Il buon comportamento amministrativo stabilisce delle soglie negli obiettivi sotto le quali non si può andare. Qualsiasi comportamento che le soddisfa dovrebbe essere permesso, pena una inutile e dannosa limitazione delle nostre libertà.

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