Quale tipo di narrazione è in crisi? E che cosa si intende per narrazione? Il saggio di Byung-Chul Han prova a rispondere a queste domande attraverso gli scritti di Walter Benjamin, Marcel Proust, Jean-Paul Sartre, insieme a Immanuel Kant e Friedrich Nietzsche solo per citare alcuni autori inseriti nel libro.
L’autore mette a confronto due grandi temi come la narrazione di storie e il flusso di informazioni, offrendo una lucida differenza interpretativa di entrambi i termini, che non devono essere confusi né sovrapposti.
Senza accorgercene, oppure non preoccupandoci delle conseguenze, utilizziamo la parola informazione per spiegare e comprendere il nuovo modo di narrare ciò che viviamo, il mondo che abitiamo. Byung-Chul Han ci fa notare che in realtà l’informazione, se da una parte è ovviamente ancorata alla realtà, dall’altra però offre una visione frammentaria del mondo e giunge alla nostra esperienza sensoriale come un’esplosione di fatti che non possiedono la forza di depositarsi e per loro stessa natura si volatilizzano in fretta. Questo è il modo di narrare attraverso immagini, post, like, commenti e storie sui social.
Ecco, proprio qui sta l’inganno: chiamare storie ciò che pubblichiamo in rete, prendendo in prestito una parola che ha tutt’altro significato. Storia, le storie e il raccontare episodi intrecciati, che già per loro natura e per come sono costruiti risultano avvincenti tanto da catturare la nostra attenzione, vengono da lontano e si formano sulla memoria, che ne rappresenta la base costitutiva.
La narrazione solida, le parole che scavano nella nostra coscienza vengono dal passato, si arricchiscono nel tramandarsi di generazione in generazione, si consolidano lungo questo viaggio. Per Byung-Chul Han la crisi della narrazione risiede nel confondere come comunichiamo oggi, cioè attraverso mere informazioni contingenti al posto di raccontare storie che invece si rafforzano attraverso la memoria.
L’ipercomunicazione cui siamo esposti ci spinge a reagire frettolosamente a qualsiasi fatto mostrato attraverso like, emoticon, wow e via dicendo, senza però permettere che alcun processo mnemonico venga azionato.
L’autore dedica una parte del saggio alla cosiddetta memoria involontaria citando Marcel Proust. In un passaggio della Recherche lo scrittore racconta come durante un soggiorno nella località balneare di Balbec, nell’atto di allacciarsi una scarpa all’improvviso gli appare l’immagine della vecchia nonna defunta, tanto amata dall’autore. In tale atto di memoria involontaria due momenti temporali si fondono e producono gioia. Nelle storie narrate e supportate dalla memoria è ben presente questa gioia, che prende la forma di un’aura a renderla eterna.
Nel libro è presente anche un’altra citazione interessante a sostegno della tesi di Byung-Chul Han, che vorrei ricordare. L’autore riprende un racconto dello scrittore tedesco Paul Maar. In una famiglia tutti sanno raccontare storie, tranne il figlio maggiore Konrad. Il ragazzo proprio non ci riesce, la sua visione della vita è così legata al presente, che quasi si rifiuta di attivare la memoria. Fino a quando i genitori decidono di mandarlo da una misteriosa vecchietta per fare delle commissioni. Nella casa magica in cui il ragazzo arriva, Konrad vive delle esperienze strane di ribaltamenti spazio-temporali che lì per lì lo destabilizzano, ma una volta tornato a casa propria gli fa esclamare ai genitori: “mi è successa una cosa incredibile”, così finalmente attivando la memoria dei fatti strabilianti vissuti e iniziandone il racconto.
La crisi della narrazione non è irreversibile. Se ci accorgiamo di affidarci a fatti contingenti e impalpabili, attraverso lo sforzo di memoria possiamo recuperare l’aura di felicità delle storie, delle notizie solide, quelle che sono oggetto di una narrazione ancorata alla storia della comunità. Perché narrare è soprattutto un atto comunitario. In questo modo ne usciremo tutti più arricchiti.