L’UNIVERSITÀ DEI BARONI?
È abbastanza divertente e triste al tempo stesso come la stampa si scaglia periodicamente contro i cosiddetti baroni universitari.
Sono valutato dagli studenti. E se prendo un voto non ottimo su un qualsiasi aspetto della mia didattica, vengo subito richiamato dal Presidente della Scuola.
Se non pubblico molto e bene non ho più accesso ai fondi della ricerca e ricevo brutti voti dall’ANVUR, che penalizzano il mio settore. Non solo, non posso far parte delle commissioni di concorso.
La corte dei conti controlla in modo maniacale ogni nostra spesa, tanto che spesso abbiamo i fondi e non sappiamo come spenderli.
Il Nucleo di valutazione esterna vigila su ogni nostra scelta.
Gli atenei sono valutati annualmente dal CENSIS.
La cultura della valutazione è per fortuna ormai parte integrante del nostro lavoro.
Docenti e amministrativi corrono da un impegno all’altro, oberati di lavoro.
Certo qualche magagna c’è, ma a confronto di ciò che capita ancora nei tribunali, nelle questure e nelle prefetture, nei ministeri ecc, dove vige assenteismo, clientelismo, mancanza totale di controllo, è come paragonare il Paradiso all’Inferno.
Telefoni che squillano a vuoto, nessuno che risponde alle mail, siti fatiscenti e obsoleti, pratiche che durano anni ecc.
Ma parlare male dell’Università fa notizia.
Forse perché soddisfa l’ego di quella massa di italiani che non avendo voglia di studiare e orgogliosi della propria ignoranza, prendevano dei bei quattro a scuola.
E intanto il reddito medio degli italiani è passato da essere nel 1990 il 110% della media europea a essere oggi il 90% di quella media.
Come diceva profeticamente Romano Prodi in un bellissimo libro di trenta anni fa, non si può essere ricchi e ignoranti per più di una generazione.