RAVEL: Il pianoforte e le sonorità dell’acqua

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Maurice Ravel (1875-1937) è stato tra i più influenti compositori e pianisti francesi.

In ragione dello stile e dei caratteri “definitori” delle sue opere, viene spesso denominato “impressionista”, come Claude Debussy (1862-1918). Si tratta dell’accostamento -di entrambi- alla corrente pittorica propriamente detta (Monet, Renoir, Degas). Ciò che pone problemi nella critica d’arte e musicale, è che l’impressione tende a “smorzare” l’espressione, producendo un effetto rapsodico, velato ed evanescente (si pensi al dipinto di Monet, la “Cathédrale de Rouen”, riferimento per il Preludio di Debussy, “La cathédrale engloutie”).

I primi componimenti di Ravel (Jeux d’eau, Une barque sur l’océan, Ondine ed il Concerto pour la manin gauche) danno luogo a suggestioni uditive riconducibili all’acqua, in modo “sfumato”, ma con connotazioni immaginifiche. In tal senso, sarebbe (forse) più corretto situare Ravel al crocevia tra Impressionismo ed Espressionismo.

Jeux d’eau (“fontane”, 1901) pare imitare gli echi generati dal soggetto rappresentato. La melodia è sottoposta a continue alterazioni tonali; le sue variazioni armoniche, spesso, risultano “poco orecchiabili”. Vi è, inoltre, un richiamo ad atmosfere orientali. Il brano si chiude in maniera speculare agli inizi: degli arpeggi, lo rendono “sospeso”.

Une barque sur l’océan (1906), appartenente alla più ampia raccolta dei Miroirs (“specchi”, 1904/5) mette in musica, in modo “ispirato”, una “barca sull’oceano”. Dei meravigliosi accompagnamenti della mano sinistra rispettano l’andamento della linea di canto principale, suonata dalla destra. Segue una parte centrale, dalla quale si dipanano sviluppi molto simili a Ondine (1° movimento di Gaspard de la nuit, 1908), in cui saranno ben evidenti tanto il tema, quanto la conclusione del componimento sopracitato.

Passando, quindi, a Ondine (“piccola onda”, personificata), come nella parte centrale della “barca”, il tema consiste in una sola nota (cui ne vengono aggiunte poche altre), che si sovrappone al moto oscillatorio della mano destra. Si crea una sorta di climax ascendente che, dopo aver toccato il culmine della tensione, si risolve nel “pianto” di Ondine: arpeggi eseguiti contemporaneamente, da entrambe le mani, secondo un’irregolarità ritmica che difficilmente si coglie, in altre opere pianistiche. In chiusura, la stessa Ondine “riproporrà” una successione di melodie dissonanti; per poi “ritirarsi”, in coerenza simmetrica con l’incipit.

Il Concerto pour la main gauche (1929-30) viene composto per (e dedicato a) Paul Wittgenstein (1887-1961; fratello del filosofo Ludwig) che, dopo aver perso il braccio destro durante la Prima Guerra Mondiale, suona in prima assoluta, a Vienna, il 5 gennaio 1932. Dalla durata relativamente “breve” (circa 20 minuti), questo Concerto si distingue dagli altri, in quanto la mano sinistra è “chiamata” a suonare l’equivalente delle due mani, “messe insieme”. Dal punto di vista tecnico, la difficoltà si spinge fin (quasi) ai limiti, per via dei frequenti ed imprevedibili spostamenti della sola mano. Ciò accade, anche -e soprattutto- nei cambiamenti di armonia. L’introduzione, a carattere meramente strumentale, propone un’alternanza fra tonalità alquanto inusuali. Dopo qualche minuto, il pianoforte solo interviene, mettendo in luce buona parte dei temi, che verranno ripresi, arricchiti e combinati, reciprocamente. Analogamente ai brani solistici da poco considerati, sono presenti innumerevoli sonorità “evocative di acqua”, oltre ad una sorta di “arabeschi” (con chiari rimandi al mondo orientale), nonché di stile jazz (le influenze vicendevoli tra Ravel e Gershwin sono attestate dalla storia della musica). Tra estremo virtuosismo e momenti di totale abbandono, il Concerto conclude con delle “ottave discendenti” che paiono ricordare Igor Stravinsky (1882-1971), nei Tre movimenti di Petrouchka (versione pianistica dell’omonimo balletto, realizzato, come opera orchestrale, nel 1911).

Infine, occorre precisare che, alla luce delle opere analizzate, le componenti più specificamente “espressioniste” di Ravel possono essere colte non solo in alcune di esse, ma anche in altre, dalle quali emerge uno spirito esasperato, dissacratorio e decostruttivo della forma: les Valses nobles et sentimentales (1911), La Valse (1919-20), il Concerto in sol per piano e orchestra (1921-31) e, in parte, gli stessi Miroirs.

Stefano Chiesa

Fonte foto: “The Guardian”

News Reporter
Milano, 1990. Laureato magistrale e triennale in Filosofia ("Vita-Salute San Raffaele", 110/110, 2014) con un "Erasmus" di un anno presso l'Université "Paris 1/Panthéon-Sorbonne". Ho lavorato come articolista, content creator e intervistatore per "MilanoSud" (2021), "Melegnano Web TV" (2020/21) e "Aracne TV" (2020). Sono stato finalista premiato al premio "Nabokov" (dicembre 2021). Per ogni altra informazione (libri, critica musicale, conferenze tenute, riconoscimenti letterari), ecco il mio sito: "www.stefanochiesascrittore.it" Grazie :D
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