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Il racconto “Il giardino dei sentieri che si biforcano” si basa sulla duplicità di una storia esposta in un libro ed il corrispettivo labirinto. Non è nostra intenzione delineare i tratti di una sinossi “in questa sede” ma, piuttosto, metterne in luce talune implicazioni filosofiche.

Il personaggio Stephen Albert si imbatte in un labirinto la cui temporalità è sfalsata; lo stesso si può asserire, riguardo alla sua spazialità. Egli padroneggia l’arte di Ts’ui Pên, autore del libro che corrisponde al labirinto, nonché suo antenato. Per decifrare il labirinto, occorrono competenze in materia di un alfabeto simbolico. Dopo aver realizzato la coincidenza di cui sopra, Stephen scopre che la soluzione in grado di spiegare il mistero è la biforcazione continua di sentieri/mondi possibili, dai quali si dipaneranno una spazialità ed una temporalità esasperatamente complesse.

Secondo lo studioso Serge Champeau (nell’opera “Borges et la métaphysique”), nel racconto, Borges conferisce, all’oggetto di studio (i “sentieri”), lo statuto di essere determinato sulla base di coordinate spazio-temporali. Per dirla con Edmund Husserl (fenomenologo): si tratta di un Erlebnisse (un vissuto), degno della connotazione sopracitata: ciò ne consente la drammatizzazione.

Diversamente accadrebbe, qualora ci si attenesse alle parole di Borges: i sentieri non sarebbero -in tal caso- suscettibili di una connotazione correlata a spazialità e temporalità -entrambe, determinate- in quanto essi sfuggono al giogo della determinatezza. Ciò che caratterizza il labirinto è un’irriducibile molteplicità, per via delle sue infinite diramazioni. In tal senso, non si può uscire da esso; è a tal punto, che “ci si confonde” con quest’ultimo.

Il sogno freudiano (che ne scaturisce) non è “uno”, ma la molteplicità a partire dalla quale esso si disvela. Questi caratteri sono ascrivibili non solo, ma anche (e soprattutto) alla dimensione onirica. Da un lato, viene descritto un orizzonte intrascendibile, nella misura in cui l’uomo non è capace di elevarsi oltre tale intrascendibilità. Al tempo stesso, l’essere umano può coincidere con l’universo -nel momento in cui sogna- in quanto le potenzialità che la sua mente dispiega sono pressoché illimitate.

(Anche) le seguenti considerazioni si ripercuotono sul sogno.

Esso può essere visto sia come “il” fine, sia come “la” fine. Nel primo caso (al maschile), sarebbe il terminus ad quem verso cui l’uomo sarebbe proteso. Nel secondo caso (al femminile), ad esso aspirerebbe una totalità che sarebbe differita dalla molteplicità la quale avrebbe, pertanto, il primato sull’altra. In tale seconda ipotesi, non potendo essere cristallizzata in alcuna determinatezza, la molteplicità sarebbe libera di raggiungere il mondo del sogno (come detto sopra, in materia dell’onirico, secondo Freud). In tale ipotetica condizione, il sovvertimento di qualsivoglia connotazione spazio-temporale sarebbe clamorosamente evidente.

Si è discusso in materia di “onirico”, per via delle analogie riscontrabili, tra la “rizomatica” (logica della diramazione) borgesiana ed il sogno freudiano.

Riguardo al labirinto, lo studioso Leonardi parla di “bidirezionalità” e “simultaneità dei mondi possibili”. Ciò vuol dire -rispettivamente- che il labirinto è orientato secondo due direzioni e che ci si trova in presenza di mondi che sono possibili contemporaneamente. Tale asserzione crea problemi alla filosofia contemporanea, dalla parte di coloro che hanno ostinatamente sostenuto la tesi dell’incontrovertibilità del “principio di non contraddizione” aristotelico. La simultaneità tra opposti o realtà che confliggono tra loro sarebbe impossibile.

Tuttavia, Borges propone una situazione totalmente differente: i giardini del racconto si biforcano all’infinito. “In questo rispetto”, ciò accade: esattamente come la formulazione aristotelica affermava che essere e non essere non possono sussistere “nel medesimo rispetto”. La contraddizione ha luogo e si manifesta, attraverso le ramificazioni poste in essere. L’essere aristotelico ed il soggetto filosofico cartesiano si dissolvono nel loro stesso linguaggio, le cui “radici” (in tutti i sensi) sono intaccate alla base, mediante la metafora “Libro-Mondo-Labirinto” e l’identità tra libro e labirinto.

Verso la fine del Ventesimo Secolo, è stata coniata una logica alternativa al principio di non contraddizione: il “dialeteismo”, ossia la credenza secondo cui possono esistere delle contraddizioni vere. Il massimo esponente è il filosofo britannico Graham Priest (attualmente vivente), uno tra i padri fondatori di tale movimento.

Il dialeteismo potrebbe essere una chiave di lettura del presente racconto, di cui potrebbe motivare le plurime contraddizioni sul piano logico, spaziale e temporale.

Stefano Chiesa

News Reporter
Milano, 1990. Laureato magistrale e triennale in Filosofia ("Vita-Salute San Raffaele", 110/110, 2014) con un "Erasmus" di un anno presso l'Université "Paris 1/Panthéon-Sorbonne". Ho lavorato come articolista, content creator e intervistatore per "MilanoSud" (2021), "Melegnano Web TV" (2020/21) e "Aracne TV" (2020). Sono stato finalista premiato al premio "Nabokov" (dicembre 2021). Per ogni altra informazione (libri, critica musicale, conferenze tenute, riconoscimenti letterari), ecco il mio sito: "www.stefanochiesascrittore.it" Grazie :D
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