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“Lei che non tocca mai terra” di Andrea Donaera è ambientato in uno dei tanti (troppi) paesini che caratterizzano il Sud. È un assunto che occorre digerire per primo per capire le relazioni, il linguaggio e la realtà cittadina dell’opera che gira intorno a “Lei”.

Ma chi è Lei? La ragazza a lungo sospirata, il demone ostinatamente respinto, la figlia poco sveglia, la figlia rimasta bambina, l’amica di una vita. Miriam, una ragazza finita in coma dopo essere stata investita da uno sconosciuto. La conseguente ‘talking cure’ diventa pretesto per il susseguirsi intorno al suo letto dei protagonisti della sua esistenza, non ancora conclusa, non più vitale: sospeso ad un filo che non tocca davvero terra, ma nemmeno riesce a volare lontano: ‘she who never touches ground’ (tratta dalla canzone “Capricorn at her feet” dei Moonspell) non è solo un titolo, punta dritto al cuore del romanzo, ribadisce con delicatezza la tragedia. Il sottofondo costituito dalla città di Gallipoli ( il “paese di merda” per citare la giovane protagonista) prende a poco a poco vita: delinea l’insofferenza dei giovani che vorrebbero solo scappare via, caratterizza il linguaggio dialettale del padre di Miriam e ,soprattutto, sembra quasi partorire dalle sue viscere la figura ambigua di papa Nanni, un santone che, servendosi della musica prodotta con il suo tamburello afferma di agire per conto di Dio. Egli è considerato e rispettato come santo da alcuni membri della comunità, ma il suo essere doppio viene quasi subito percepito dal lettore e a fatica da Andrea, perdutamente innamorato di Miriam. Il romanzo scende velocemente verso la fine, lasciando il lettore spiazzato ad ogni pagina, rincorso da uno stile imprevedibile, frammentario, a tratti persino rabbioso o stridente, ma che non fa mai a pugni con la prosa. Il finale, spiazzante, è come un lungo respiro preso prima di qualcosa: il Male, il Bene, forse l’Amore.

News Reporter
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