Ho presente Napoli, rinchiusa nei miei ricordi di bambino quando con i miei genitori scendemmo da Roma dritti verso piazza del Plebiscito. Nella tasca comune, un invito per un matrimonio; nella mia un Gameboy Color, amico inseparabile di tutti i miei viaggi in macchina. Ho presente ancor di più Napoli, dopo anni e anni, perché sono inciampato nell’uscio della “Tabaccheria” di Mario Eleno, che ho adorato leggere perché intrisa di coscienza, di osservazione, di quella pittura colorata che mostra al mondo la bellezza del concetto che è vivere. In un lasso temporale di vita di una persona come tante, ma con la spinta ultraterrena di chi vuole volare (o almeno sa che non c’è alcun male nel provarci), Mario è stato capace di catapultare il lettore in ogni vicolo, in ogni schiamazzo, in ogni anfratto buio o pieno di luce che la città partenopea o i suoi abitanti siano stati in grado di offrirgli lasciando soprattutto spazio a quelle che sono le ruote principali di ogni essere umano: l’amore, la dedizione, il pensiero, la libertà di essere.
La cosa più bella credo, è che sia riuscito a darci un biglietto per assistere allo spettacolo che la regia dei suoi occhi è stata in grado di riprendere e concettualizzare poi a parole. Altro che proiezioni su tela. “Napule è mille culure” cantava Pino Daniele; io ho trovato una pallette di pigmenti infinita, come se lo scrittore sia stato capace di mangiare senza nessun tipo di sosta e al contempo senza ingrassare nemmeno di un grammo. Anzi, è tutto così leggero e pieno
di leggiadria e questa è un’accezione positiva non la correzione di un comportamento che volge in negativo. Animale, uno nobile dal sangue caldo. Non uno puro, innocente… ma uno spinto dalla bontà, dall’avvenenza che ci trasporta a tutti quanti in questa meravigliosa e grottesca avventura che è la vita. L’unico abuso del quale mi concedo di parlare è quello che appunto la vita stessa offre a persone così sensibili, empatiche, sincere, dal cuore vivo che lo vedi battere anche a un chilometro di distanza.
Questa è la storia di una persona come tante, di un riscatto, di un percorso nel quale si sputa sangue in salita e nei falsi piani ci si stringe nei propri abbracci o quelli dei nostri cari perché servono più di quanto a volte si crede. Poi quando arrivano le discese si capisce perché bisogna godere di ogni bene che ci viene offerto. L’equilibrio è sempre una proprietà così precaria.
Mario parla di lui e di altri, delle situazioni che lo interessano e di quelle riflessioni che si proiettano nel caleidoscopio della quotidianità dimostrando che si può evadere con la testa anche mantenendo i piedi ben saldi a terra. Dimostra che l’ombra può dire molto, che si possono raccontare galassie intere senza parlare in modo scientifico, che la semplicità ti fa scoppiare il cuore come i fuochi d’artificio negli occhi sognanti di un bambino. Non è da tutti. Le piccolezze contano e compongono tutto quello che è il nostro cosmo. Esse ci legano, ci fanno apprezzare la nostra natura, quella di chi ci orbita intorno e respingere poi coloro che viaggiano al nostro opposto dandoci sempre un fondo di pensiero, di ritorno personale. Il test finale infondo dimostra sempre che i conti vanno fatti ma non si può passare tutto il tempo a contare come fa un ragioniere. Si va e si viene. Allora l’imperativo è colorare per bene il nostro respiro; niente e nessuno ha motivo e modo di impedircelo.
Riccardo Giosi 19/ 04/ 21