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L’UCCELLO BIANCO
Febbraio 8, 2025Diderot è (con Zola) l’unico gigante della letteratura francese di cui – almeno fino a ieri – non avevo mai letto nulla. Mentre la copia di «Teresa Raquin» di Zola è ancora intonsa – ma lancia potenti richiami dallo scaffale dei classici – «L’uccello bianco» di Denis Diderot è già stato letto e metabolizzato (a dire il vero, un po’ a fatica). Si tratta di un’opera minore – ben poco rappresentativa della cultura enciclopedica e del talento dell’autore – ascrivibile al genere del romanzo libertino, ovvero un racconto «blu» (col termine di «conte bleu» s’intendeva un’operetta dal contenuto licenzioso o eversivo diffusa clandestinamente o pubblicata in forma anonima). In questa allusiva favoletta di 80 pagine, si narra della prodigiosa trasformazione del figlio dell’imperatore giapponese in un bellissimo uccello dal canto suadente (una forma che sarà utilizzata dall’infaticabile principe per sedurre vergini e far nascere «spiritelli» per tutte le contrade d’oriente). Da un lato l’autore ironizza sui costumi disinvolti e sulle arbitrarie azioni dei potenti, dall’altra si diverte a introdurre nella storia elementi magici e orientaleggianti secondo la moda inaugurata in Francia dal drammaturgo Crébillon (anche se il vero punto di riferimento, nonché fonte ispiratrice, pare essere «Le mille e una notte»). Nell’Uccello bianco viene utilizzato l’espediente della “storia nella storia”: due emiri e due servitrici hanno il compito di intrattenere piacevolmente la capricciosa sultana, massaggiandole senza sosta le piante dei piedi e raccontandole fiabe per farla addormentare.
Una lettura divertente ma inferiore alle aspettative.