Premio Pino Scaccia – per il giornalismo
Febbraio 28, 2025https://www.premionabokov.com/premio-alla-memoria-del-giornalista-pino-scaccia/
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È quasi un capriccio, uno scherzo, quello di tagliarsi i baffi, da parte del protagonista di questo romanzo inquietante. Ma ci sono scherzi che possono avere conseguenze molto gravi. All’improvviso tutti quelli che lo conoscono da anni e la moglie per prima, affermano di non averli mai visti, quei baffi, e che dunque nella sua faccia nulla è cambiato. Ho sentito pareri contrastanti su questo romanzo, leggendo tendenzialmente che il finale fosse assurdo. Per me è geniale. Se quando leggo Dostoevskij mi sento in una stanza vuota con davanti il protagonista che mi gira davanti agitando e parlando da solo a voce alta (non so se è così anche per chi sta leggendo) con Carrère io sono dentro la testa del protagonista. Vivo la sua follia. Mi ritrovo a pensare che la moglie sia pazza, che sia un complotto, che sia uno scherzo, mi ritrovo a dubitare delle mie certezze, perché sì insomma un attimo prima quei baffi li abbiamo tagliati. Ci sono poi dei brevi momenti di lucidità in cui capiamo che la follia è quella del protagonista che pagina dopo pagina perde se stesso. Un protagonista che rimane senza nome e senza identità fino alla fine. Il finale non lo spoilero ma per me è geniale. La scrittura di Carrère è asciutta, tagliente, ti accompagna negli abissi della mente umana man mano che vai avanti. Non so che altro dire se non geniale.
“Alberto ascoltò quest’ultima testimonianza avvertendo come se una lama tagliente penetrasse tra le viscere del suo corpo. Valutò attentamente come poter scaricare la rabbia che aveva accumulato in corpo […] non avrebbe avuto nessuno al quale rinfacciare quegli infami atteggiamenti e concluse…
Ho scoperto solo di recente la letteratura ebraica e sto cominciando ad apprezzare parecchio un certo tipo di narrazione – peculiare di un popolo e di una tradizione letteraria – condita da black humour e attraversata da una vena macabra e dissacrante.
Mi riferisco soprattutto alle opere di Shalom Auslander e di Etgar Keret, che mettono in luce un curioso rapporto di amore e odio tra creatura e Creatore (violentissimo e quasi blasfemo il livore del fedele verso Dio!) e riflettono il desiderio degli autori di raffigurare situazioni limite, grottesche e paradossali, volte a spiazzare il lettore.
Il libro “Pizzeria Kamikaze” di Etgar Keret è una raccolta di 9 racconti (7 dei quali brevissimi), in cui il tessuto della realtà può essere stravolto anche a causa di un semplice refolo di vento o per il respiro difficoltoso di un asmatico… può capitare così che i dannati dell’Inferno, una volta ogni cento anni, decidano di concedersi una licenza premio di 24 ore in Uzbekistan (!!); che una colla miracolosa riesca a rinsaldare una precaria relazione tra coniugi (!!!); che un uomo, triste e solitario, faccia amicizia con un angelo bugiardo, che ha le ali ma non vola.
Una raccolta discreta, ma certamente non l’opera migliore di Keret.
Promosso con riserva (soprattutto per l’oggettiva difficoltà di ricavare un senso da situazioni narrative estreme, e di affezionarsi a personaggi tanto strampalati da risultare indecifrabili).
Per molti ma non per tutti.
Online il nuovo bando: www.premionabokov.com
Non è facile comprendere che cosa stia succedendo a livello internazionale. La sensazione forte è che i tre leader più importanti, cioè Putin, Trump e Xi Jinping stiano tentando di tornare alla politica delle zone di influenza, che ha dominato la storia europea e mondiale per buona parte dell’800 e del Novecento. In molti paesi meno importanti si sono formati partiti con un sentire simile. Per una grande potenza si parlerà di una zona di influenza, per un paese medio di sovranismo. Marx giustamente diceva che la storia si ripete simile due volte, la prima come tragedia e la seconda come farsa. E questo è uno di quei casi, probabilmente. È evidente che Trump è soprattutto un pagliaccio e Putin e Xi Jinping dei filibustieri che sperano di approfittare della situazione. Tutti continuano a parlar male del libro del grande politologo Fukuyama sulla fine della storia, ma raramente si è capito bene il punto. Fukuyama ci spiega che tutte le forme passate di teleologia della storia, da quelle cicliche degli antichi a quelle messianiche del cristianesimo e del comunismo, hanno perso di senso. Non solo, abbiamo scoperto che una società basata sulla scienza, la tecnologia, la ricerca, la democrazia, la libertà e il commercio è il miglior sistema di vita per le persone. Questo non significa che non torneranno tempi bui. Può succedere, ma ormai i termini del problema sono chiari. Il tentativo delle grandi potenze e dei sovranisti di tornare al passato è una farsa. Magari è una farsa che riuscirà nel suo intento per un periodo, e che porterà grandi dolori, ma resta qualcosa che non ha futuro.
Note di cronaca (Villaggio Maori Edizioni, 2024) è un libro che fa riflettere. L’autore è Stefano Corradino, giornalista di Rai News 24 e musicista. Una passione, la sua, dichiarata nel sottotitolo del libro: Sette storie vere in musica. Nell’opera di Corradino si…
Ho terminato ieri uno dei libri più osannati della passata stagione letteraria (recentemente i lettori di Goodreads lo hanno proclamato come miglior thriller dell’anno). Mi è piaciuto? Molto. Lo consiglierei a un pubblico eterogeneo? Sicuramente sì (non solo ai fan della crime fiction). Mi ha sedotto, incantato, rapito, inchiodato alle pagine? Uhm… a quest’ultimo interrogativo non so cosa rispondere. Forse più no che sì. Quasi tutte le recensioni che ho letto sul web dipingono «Il dio dei boschi» come la quintessenza del thriller mozzafiato: quel libro capace di catturarti fin dalle prime pagine e costringerti a una lettura compulsiva. Ecco, sotto questo punto di vista, il romanzo di Liz Moore si è rivelato completamente diverso dalle aspettative che mi ero creato. In nessuna sessione di lettura credo di essere andato oltre le trenta pagine consecutive. Non perché sia brutto o pesante – tutt’altro! – ma perché è più un libro da centellinare che da divorare. Anche se la scomparsa di una ragazzina (in circostanze a dir poco misteriose) innesca un meccanismo narrativo fatto di rivelazioni progressive, indagini investigative e colpi di scena, la prosa della Moore – elegante, raffinata, ma anche parecchio densa – non si presta a una lettura tanto vorace e immediata. L’autrice americana ama molto indugiare in descrizioni naturalistiche, in rappresentazioni di dinamiche familiari e conflitti sociali, in riflessioni di carattere morale, filosofico, antropologico. L’etichetta di «page-turner» è dunque abbastanza fuorviante (almeno a mia opinione) ed è anche piuttosto riduttiva in considerazione della qualità letteraria dell’opera. Leggerò senz’altro altri romanzi di questa scrittrice… e ora che so cosa devo aspettarmi ne ricaverò un piacere persino maggiore!
Anna Achmatova, by Nathan Altman, 1914 Io crebbi in un silenzio arabescato, in un’ariosa stanza del nuovo secolo. Non mi era cara la voce dell’uomo, ma comprendevo quella del vento. Amavo la lappola e l’ortica, e più di ogni altro un salice d’argento….
Diderot è (con Zola) l’unico gigante della letteratura francese di cui – almeno fino a ieri – non avevo mai letto nulla. Mentre la copia di «Teresa Raquin» di Zola è ancora intonsa – ma lancia potenti richiami dallo scaffale dei classici – «L’uccello bianco» di Denis Diderot è già stato letto e metabolizzato (a dire il vero, un po’ a fatica). Si tratta di un’opera minore – ben poco rappresentativa della cultura enciclopedica e del talento dell’autore – ascrivibile al genere del romanzo libertino, ovvero un racconto «blu» (col termine di «conte bleu» s’intendeva un’operetta dal contenuto licenzioso o eversivo diffusa clandestinamente o pubblicata in forma anonima). In questa allusiva favoletta di 80 pagine, si narra della prodigiosa trasformazione del figlio dell’imperatore giapponese in un bellissimo uccello dal canto suadente (una forma che sarà utilizzata dall’infaticabile principe per sedurre vergini e far nascere «spiritelli» per tutte le contrade d’oriente). Da un lato l’autore ironizza sui costumi disinvolti e sulle arbitrarie azioni dei potenti, dall’altra si diverte a introdurre nella storia elementi magici e orientaleggianti secondo la moda inaugurata in Francia dal drammaturgo Crébillon (anche se il vero punto di riferimento, nonché fonte ispiratrice, pare essere «Le mille e una notte»). Nell’Uccello bianco viene utilizzato l’espediente della “storia nella storia”: due emiri e due servitrici hanno il compito di intrattenere piacevolmente la capricciosa sultana, massaggiandole senza sosta le piante dei piedi e raccontandole fiabe per farla addormentare.
Una lettura divertente ma inferiore alle aspettative.