Ho terminato ieri l’ultimo voluminoso romanzo di Morozzi, sul quale mi accingo ora a scrivere qualche riga, spinto da entusiasmo e genuina ammirazione.
“Che fine ha fatto la Neve?” è in realtà una trilogia, dal momento che racchiude tre distinte indagini del detective dilettante Vilo Vulcano (“distinte” per modo di dire visto che personaggi e situazioni scompaiono e riappaiono nei momenti più impensati fino a comporre un quadro narrativo unitario).
Per evitare ogni rischio di spoiler, riassumo per sommi capi il contenuto. Vilo è un libraio che ha tre caratteristiche fondamentali: 1) da bambino ha subito una doppia menomazione (il Fato gli ha strappato Neve, l’amica d’infanzia, sparita da una cantina in circostanze mai chiarite e, al contempo, la sua “virilità”: il mostro che ha rapito la bimba gli ha causato anche un’invalidità fisica permanente) 2) come secondo lavoro, Vilo tenta (quasi sempre con successo) di risolvere casi disperati che, non di rado, valicano i confini della realtà per inoltrarsi nel Regno dell’Ignoto 3) Vilo non conosce la paura (non perché sia particolarmente coraggioso ma perché una singolare “malformazione emotiva” gli impedisce di provare ansia o terrore).
Consiglio la lettura delle indagini di Vilo Vulcano soprattutto a quei lettori che sentono il bisogno di una pausa dalla narrativa gialla tradizionale e che ricercano in un libro nuovi stimoli e sapori diversi: Morozzi è abilissimo ad alternare i registri, a suscitare risate e paura nello stesso capitolo, a contaminare elementi tratti da letteratura alta, narrativa di genere e fumetti (ma anche da cinema e musica), a comporre una coltissima e divertentissima summa della cosiddetta cultura pop, a ritmo di rock (l’autore è anche uno scatenato chitarrista).