- Qual è stato il Maestro che ha influenzato maggiormente il tuo percorso di studi e perché?
Sicuramente, Bruno Canino: avevo 14 anni e ho studiato per quasi altrettanti (13), con lui, tra il Conservatorio “G. Verdi” di Milano ed il Corso Triennale di Alto Perfezionamento, a Seveso.
Sono stati anni molto intensi, durante i quali ho avuto modo di assistere alle esibizioni dei “Grandi”, ai quali ho potuto ispirarmi.
In merito ai mei corsi, ogni allievo assisteva alle lezioni dei colleghi: un metodo “innovativo”, che ci permetteva di assorbire l’enorme cultura di questo Maestro, il quale conosceva e collaborava con molti degli eminenti e più popolari, tra cui i Serkin (Rudolf e Peter) ed Andraś Schiff..
Canino suonava anche regolarmente con I. Perlman, L. Harrell, S. Accardo, R. Filippini, C. Ferraresi…
…E tanti altri.
Per “osmosi”, ho ricevuto un patrimonio notevole -da parte Sua e di questi maestri-, considerando che ero desiderosa, “bisognosa” -oserei dire- di “catturare” e “fare mio” questo mondo.
Tale è stato il percorso più lungo e formativo della mia vita: difficoltoso, a volte ostico, altre meraviglioso, sicuramente solido e concreto; ne è valsa assolutamente la pena.
- Di’ quelli che sono i compositori in cui ti senti più rispecchiata e perché li includi nel tuo repertorio…
Sicuramente, Beethoven è stato il primo, che mi ha letteralmente colpita al cuore. Quand’ero piccola, ho assistito a un concerto di W. Kempff, mentre interpretava la Sonata “Op. 111”; sono rimasta talmente esterrefatta, da dire a me stessa: “Questa Sonata, sarà mia”. In effetti, l’ho presentata al diploma, e poi eseguita in molti concerti. Tra i vari compositori, Beethoven è stato colui che ha dimostrato di avere una mente più “aperta”: muovendo dall’Era di Mozart, ha quasi raggiunto l’idea della musica contemporanea. Ha rivoluzionato la “Forma Sonata”. Nella sua musica, c’è qualcosa che ci parla della lotta dell’uomo, la sua sopravvivenza ed il suo raggiungimento, in merito ad obiettivi spirituali.
Poi, amo tutti coloro che provengono da un’area geografica “austro-ungarica”/mitteleuropea: Mozart, Schubert, Schumann e Brahms.
Adoro Chopin e ritengo sia imprescindibile, nel repertorio di ogni pianista: ho imparato a conoscerlo meglio, visitando la Polonia. La “Fantasia Op.49” e la “Polacca-Fantasia Op.61” presentano connotazioni potentemente evocative. Nella prima, sono inclusi 2/3 inni patriottici polacchi, (“uno per tutti”, “Litwinka” di K. Kupinski), ai quali Chopin faceva riferimento, sebbene siano poco evidenti, ai fini del “canto” e di uno spirito “nazionale”, che sia trasmissibile ai compatrioti in Polonia. Inoltre, si dice che il poeta e scrittore Adam Mickiewicz (1798-1855) abbia ispirato le “Ballate” di Chopin: erano racconti dove, spesso, il pianista introduceva elementi attinenti alla Poesia polacca, presenti in tutte le Opere sopracitate.
Approfondendo la mia conoscenza di Chopin, ho capito che che la Sua esperienza di Vita e, quindi, musicale, è molto più complessa di quanto non si possa pensare.
Vorrei aggiungere che anche ascoltare la Lingua polacca è, a volte, illuminante per comprendere meglio certa musica Chopiniana.
- A parte Chopin e Beethoven, quali sono (gli) altri autori che senti più “tuoi”?
Sono innamorata della capacità di cantare/liederistica, di Schubert, che inserisce diversi, di questi elementi: la cantabilità e il fatto di saper usare tanti registri del pianoforte, in maniera sapiente e per fare risaltare queste idee musicali.
Anche in Schumann, vi è il dualismo (poetico e metaforico) tra i due personaggi Florestano (eroico, combattivo) ed Eusebio (dolcezza e cantabilità, poesia), oltre al Maestro Raro (emblema di saggezza e sintesi, equilibrio dei due personaggi precedenti). Questi, mi consentono di fare esperienza, tra momenti drammatici e poetici, con continui cambiamenti: amo molto il contrasto. Come Chopin, anche Schumann presenta, a volte, temi popolari tedeschi, per poi nobilitarli.
- Quali sono i tuoi progetti futuri e concertistici?
Bisognerebbe produrre concerti con un percorso culturale.
Da un lato, Bach con il suo “capriccio sulla lontananza del fratello dilettissimo” (una sorta di “pezzo a programma”) e dall’altro, Beethoven, con “Les adieux” (Sonata per pianoforte, “Op.81a”) presentano un distacco, fisico ed emotivo, tra persone che sono legate da un sentimento profondo.
Questa potrebbe essere un’idea interessante, per un concerto.
Noi musicisti dovremmo imparare a proporre qualcosa che abbia un percorso; fare cultura, trovando intersezioni tra percorsi letterari e musicali: la musica non è un “diversivo”.
Vorrei poter essere uno “tramite”, per rivalutare questa Arte: sono aperta a molte esperienze (come solista, in àmbito cameristico o altre possibilità), per la gioia del “fare musica”, in quanto la musica è innanzitutto condivisione.
Stefano Chiesa
Ecco l’artista, eseguire la celebre “Op. 109” di Beethoven