AVVERTENZA: Il presente articolo, a carattere meramente divulgativo, proporrà 3 (apparentemente) distinte discipline, avvicinandole “2 alla volta”, con lo scopo di invitare il lettore ad immergersi nelle realtà oggetto di indagine: dalla matematica alla grammatica, dalla grammatica alla filosofia e dalla filosofia alla matematica.
Siamo soliti pensare che matematica, grammatica e filosofia rappresentino come dei “poli” opposti e inconciliabili.
Ebbene, non è così.
MATEMATICA: Quando, al liceo, si studiano i “polinomi” ed i “prodotti notevoli”, il procedimento logico che sottende questi elementi, è il raggruppamento di quantità che possano essere comuni a più polinomi.
GRAMMATICA: È esattamente ciò che accade quando ci si imbatte in una versione di Latino: occorre rinvenire i “sintagmi”, ossia, “segmenti di proposizioni”. Concretamente, ciò significa che lo sguardo si muove verso termini che presentino la stessa terminazione, muovendo dal verbo (la parte del discorso per eccellenza), fino al soggetto e ad eventuali complementi.
MATEMATICA E GRAMMATICA: Nella misura in cui i sintagmi sono porzioni di frasi, comuni -o meno- ad altri elementi della proposizione, è lecito asserire che il procedimento di scomporre i polinomi nei monomi costitutivi sia, se non il medesimo, molto simile.
GRAMMATICA E FILOSOFIA: In filosofia, una situazione analoga è rinvenibile nell’opera del presocratico Democrito, il primo ad aver teorizzato la possibile esistenza degli atomi. Tale parola significa “indivisibile”; ossia, “che non può essere scisso, oltre il limite che la natura impone”. Ma, se l’atomo presenta tali caratteristiche, si producono 2 effetti distinti. Primo: in grammatica, un sintagma può essere scomposto nelle rispettive parti (costitutive), fino a giungere ad una delle 9 parti del discorso, ossia il “termine ultimo”, oltre il quale un sintagma non può essere decomposto.
FILOSOFIA E MATEMATICA: Secondo: un senso di irrisolutezza avviene -sempre, nella matematica- attraverso varie equazioni (ciò che stiamo per sviluppare, dal punto di vista argomentativo). Un altro esempio è dato dalle “discussioni” delle equazioni, di cui si distinguono 3 casi. Quello che a noi interessa, è l’indeterminatezza. Quando, al termine di un’equazione, si perviene alla conclusione per cui “x=x”, le 2 x si elidono, in quanto termini identici, che si collocano alla sinistra e alla destra dell’“uguale”.
Pertanto, segue il risultato “0=0” che, sul piano matematico, è un’“identità”: la perfetta corrispondenza tra 2 termini.
Ma, se l’incognita “X” si traduce nell’identità dello zero, rispetto a se stesso, l’equazione viene denominata “indeterminata”. Ciò significa che non è possibile attribuire un valore univoco ad essa, che, non essendo determinabile, è “indeterminata”.
Per quale/i ragione/i questi concetti sono così importanti?
Perché, in un piano filosofico, l’indeterminatezza viene applicata all’esistenza dell’essere umano, secondo la corrente propriamente detta (“Esistenzialismo”, appunto). Tale corrente di pensiero pone al suo centro un’indagine dell’uomo, che viene visto nella sua tragica condizione, all’interno del XX Secolo. Pertanto, un concetto matematico “traslato” ad uno filosofico può rendere conto di quest’ultimo; ma soprattutto, può aiutare la filosofia ad ispirarsi alla matematica, decretando la perfetta coalescenza tra le due discipline.
Per concludere, citiamo parte del pensiero del filosofo e matematico Blaise Pascal, che distingue tra “esprit de géométrie” (razionalità) ed “esprit de finesse” (irrazionalità). Dei 2, il secondo rappresenta la capacità di intuire il senso ultimo delle cose: ciò che consente, al genio, di creare. Da cui il primato delle “ragioni del cuore”, oltre l’apparente freddezza della scienza.
Ciò corrobora (ulteriormente) la validità della trasversalità tra più discipline: matematica, grammatica e filosofia risultano così, strettamente interrelate.
Stefano Chiesa