LE CONFUTAZIONI SOFISTICHE
Agosto 6, 2024Leggendo le Confutazioni sofistiche di Aristotele nella bella traduzione di Fait, ci si accorge che lo Stagirita non aveva pienamente elaborato il moderno concetto di fallacia, inteso come argomento che sembra valido ma non lo è o premessa che sembra vera ma non lo è. Saranno i commentatori e i medioevali a distinguere in un sofisma una causa dell’apparenza e una causa del difetto. La prima è la ragione per cui un ragionamento inganna, la seconda in che cosa è sbagliato in quel ragionamento. Se, ad esempio, dico “Socrate è antipatico, quindi tutti gli ateniesi sono antipatici”, un conto è l’errore, cioè la generalizzazione indebita, un conto è la causa psicologica dell’errore, cioè che considero Socrate come rappresentativo di tutti gli ateniesi. La domanda è allora, come mai Aristotele non se ne è accorto? La risposta potrebbe essere. Le Confutazioni sofistiche spiegano come difendersi in un dialogo. Il rispondente R sostiene una tesi A e l’interrogante I deve dimostrare non A. Aristotele ci vuole spiegare quali siano i trucchi che I può usare per arrivare a non A. Dunque non gli interessa tanto la relazione psicologica fra noi che ascoltiamo e potremmo essere ingannati da I, quanto come I può barare con R per ottenere il risultato. Come è stato dimostrato dalla storica della logica Catarina Duthil Novaes, la logica nasce dal dialogo e non da una relazione solitaria fra gli enunciati e il logico. Solo se intendiamo la logica in questo secondo senso, più moderno, allora la nostra nozione di fallacia diventa importante.