Quale è stato l’impatto di internet sulla politica?
Partirei da Tangentopoli. Nel Secondo dopoguerra i Partiti in Italia hanno giocato un fondamentale ruolo di intermediazione. In quell’epoca il politico non era solo espressione di una volontà popolare, ma anche una guida intellettuale. Era, come diceva Gramsci, organico a certi interessi e movimenti. Tutto questo è finito. Sono successe tre cose importanti. È finita la Guerra Fredda e la contrapposizione fra i blocchi che in fondo aveva per decenni contribuito a tenere in piedi quella struttura: la DC guidava un certo conservatorismo per conto degli USA e il PCI guidava un riformismo per conto dell’URSS. USA e URSS sono spariti dalla politica italiana. Non solo, il popolo degli anni Novanta non era più quello quasi analfabeta degli anni Quaranta. Poco dopo è arrivata internet e i social, cosicché ora quasi tutti possono farsi un’idea – giusta o sbagliata – su qualsiasi argomento. Tangentopoli, inoltre, ha messo in luce il patto scellerato fra industria e politica. I partiti come strutture di guida e intermediazione avevano bisogno di soldi e glieli dava l’industria in cambio degli appalti in un contesto economico estremamente statalista erede del Fascismo è delle idee comuniste di collettivizzazione. Ma il popolo degli anni Novanta non voleva più essere guidato. È nato così il populismo, che ha anche la faccia buona di autonomia dei cittadini. Berlusconi lo ha capito per primo. Ed è stato il primo populista. Non più guida del popolo, ma espressione della sua pancia. E sono poi venuti tanti altri, da Grillo a Salvini fino alla Meloni. I partiti sono spariti. I politici, che prima prendevano i soldi per darli al partito, ora se li mettono in tasca. Internet e i social hanno fatto si che il dibattito politico si spostasse dalle piazze guidate dai politici alle piattaforme guidate dalla visibilità che ognuno cerca. In tutto questo c’è del buono. È inutile essere nostalgici di un passato in cui eravamo un Paese a sovranità limitata periferia di USA e URSS costituito da masse di ignoranti facilmente manovrabili. È vero che la democrazia è in crisi, ma è anche vero che la democrazia della prima repubblica aveva limiti enormi. Oggi l’organo di intermediazione della politica non può più essere il partito, ma deve essere l’istruzione. E noi, rispetto a tante altre democrazie non siamo messi così male. La nostra scuola primaria è tra le migliori del mondo. La nostra scuola secondaria è dignitosa, se la paragoniamo ad esempio a quella USA. Certo la Finlandia fa meglio è dobbiamo migliorare tanto. La nostra università non ha grandi eccellenze come quelle anglosassoni, ma ha una media, che è la cosa che conta di più dal punto di vista della cittadinanza, di tutto rispetto. È nella formazione che si gioca la partita politica del futuro, non nel ritorno all’ideologia e neanche nella società civile. Una democrazia del popolo – non dobbiamo avere paura a dirlo – cioè di tutti, si basa su una buona istruzione. E quindi oggi fondamentale una radicale riforma della paideia. Le persone vanno messe in condizione di comprendere la complessa realtà in cui vivono. La storia insegna che qualsiasi cosa che incontriamo non è un dato, ma il risultato delle azioni umane. La fisica insegna come modellare matematicamente le situazioni complesse. Per fare storia occorre conoscere la lingua italiana e per fare fisica occorre conoscere bene la matematica. Questa è la paideia di cui abbiamo bisogno per superare gli aspetti degeneri della democrazia populista.