Il concetto di Irishness
La storia dell’Irlanda è una storia caratterizzata da esodi, esili, diaspore: lo si legge già a partire dalle saghe celtiche risalenti al periodo medievale e ambientate nel VI secolo. Inoltre, le ondate migratorie, sia verso altri paesi anglofoni che europei, che hanno avuto luogo prima degli inizi dell’Ottocento, non hanno potuto che confermare la nozione della partenza come elemento connaturato nel popolo irlandese, con radici profonde nella psiche degli irlandesi stessi. Partenza e diaspora, concetti che hanno portato con sé un’ambivalenza di sentimenti e stati d’animo, quali ansia ed eccitazione, crisi, paura e minaccia, nuove possibilità e prospettive.
Il termine Irishness, ossia il tipico irlandese, l’irlandesità, è divenuto così un concetto globale che trascende i confini dell’isola di smeraldo e pone l’accento sulla questione di cosa significhi esattamente essere irlandese. La diaspora irlandese ha rappresentato una delle più grandi e complesse storie di emigrazione al mondo e risulta difficile o quasi impossibile tracciare netti confini su chi si possa definire irlandese e chi no. La popolazione che è rimasta, nel travaglio e nella sofferenza di uno stato trascurato, lacerato e dimenticato, fatica per l’appunto a definire “veri irlandesi” coloro i quali partirono alla ricerca di migliori prospettive di vita, o le seconde generazioni, nate da genitori irlandesi emigrati all’estero. Tuttavia, il fatto di lasciare la propria terra può innescare un meccanismo opposto, di maggior presa di consapevolezza circa le proprie radici e la propria identità. Basti ricordare che San Patrizio, patrono d’Irlanda, viene festeggiato il 17 marzo ormai ovunque nella diverse parti del mondo. Col termine Irishness si determina quindi la sintesi della multisfaccettata e variegata cultura irlandese, considerandone le diverse espressioni culturali, letterarie, cinematografiche, musicali e non solo.
Storia irlandese e Troubles
Dal 432, anno in cui San Patrizio portò il cristianesimo in Irlanda, la piccola isola verde nel medioevo era diffusamente abitata da monaci che viaggiavano come missionari nel continente. Nel XII secolo venne donata dal papa al re inglese Enrico II: da quel momento iniziarono i numerosi tentativi di assimilazione alla Corona inglese che sfociarono in violente lotte e massacri. L’Irlanda, vista dagli inglesi come zona selvaggia e da colonizzare, diviene luogo di continui travagli e violenze, dove le popolazioni del posto si ostinano a parlare il gaelico irlandese, e, vista come terra indomita e caparbia, viene relegata a colonia povera e dimenticata.
Anni di grande tribolazione e dolore furono quelli tra il 1845 e il 1849, quando, la carestia delle patate condusse ad una forte ondata migratoria, in particolare verso l’America del Nord, dove vennero fondate delle colonie irlandesi, da cui la madrepatria era vista come un mito, un modello.
L’Irlanda, nel corso dei secoli, ha sempre combattuto per la propria indipendenza dal dominio britannico, a causa soprattutto della divisione territoriale interna tra il nord britannico (Northern Ireland) dove nella seconda parte del ‘900 hanno avuto luogo lotte sanguinose tra protestanti e cattolici, e la vera Irlanda, quella cattolica del sud, chiamata EIRE (nome gaelico dell’isola). Nel 1914 la Home Rule irlandese volta all’introduzione di un autogoverno locale, viene prorogata a causa dello scoppio del primo conflitto mondiale; di conseguenza, il giorno di Pasqua del 1916 a Dublino scoppia una rivolta popolare durante la quale la capitale viene occupata dagli insorti e viene proclamata la Repubblica di Irlanda. Ma dopo soli cinque giorni avviene la repressione da parte dell’esercito inglese. Nel 1919 l’esercito repubblicano irlandese, IRA, compie diversi attacchi contro la polizia inglese dando così inizio ad una guerra interna di indipendenza che si protrarrà fino al 1921, in seguito alla quale l’Irlanda viene proclamata Stato libero all’interno del Commonwealth, pur restando le sei contee dell’Ulster nel Nord parte della Gran Bretagna. Nel 1949 la nazione diverrà Repubblica completamente indipendente e due decenni più tardi inizieranno i Troubles con le prime dimostrazioni della minoranza cattolica in Ulster contro i protestanti filo-britannici. L’evento più atroce e sanguinoso dei Troubles, denominato Bloody Sunday, ha luogo il 30 gennaio del 1972. I disordini terminano nell’anno 1998 segnando la conclusione di un periodo di circa trent’anni di guerra civile.
Cinematografia irlandese
Dal punto di vista letterario l’Irlanda resta un Paese raccontato in una lingua diversa, l’inglese, da parte dei suoi stessi abitanti, nella fattispecie da grandi scrittori quali Wilde, Joyce, Shaw, Swift, Yeats, Beckett, Stoker, Lynch e molti altri. Anche per quanto riguarda il cinema, essa viene raccontata dall’ ”esterno”, da un luogo “altro”, a causa dei subbugli e delle tensioni interne durante la lotta per l’indipendenza e la guerra civile. Lo sviluppo cinematografico irlandese appare particolarmente lento a causa degli scontri interni e della legge di censura del 1923, periodo in cui vennero prodotti in prevalenza documentari e commedie evasive. Inoltre negli anni ’70, durante il conflitto nord irlandese, le pellicole sull’Irlanda vengono prodotte negli Stati Uniti da registi americani di origine irlandese: tra le più conosciute troviamo The Quiet Man, Captain Lightfoot, Moby Dick. Negli anni ’80 nasce l’Irish Film Board, il primo ente cinematografico statale, grazie al quale vengono attuate numerose iniziative da parte irlandese.
Questo Paese, caratterizzato dalla presenza di brughiere sconfinate, scogliere selvagge, paesaggi e città ricchi di fascino, è stato spesso scelto, grazie a tali scenari perfetti e mozzafiato, come location per girare film, scene di film e serie TV di successo (Braveheart, Star Wars, Vikings, Excalibur, Titanic, Harry Potter), da parte di noti registi contemporanei, tra cui Jordan, McQueen, Sheridan. L’Irlanda appare nei loro film come protagonista, cornice in cui si riflettono e sono rappresentati spaccati di vita dei personaggi.
Trento Film Festival, 72. Edizione 2024: Destinazione… Irlanda
In occasione del 72. Trento Film Festival (27 aprile-5 maggio 2024), primo festival della cinematografia alpina al mondo, si sono potute visionare diverse pellicole di produzione e ambientazione irlandesi, grazie alla sezione tematica “destinazione…” che quest’anno è stata dedicata all’Irlanda. L’Irlanda infatti, nonostante sia un Paese di soli 5 milioni di abitanti, presenta una storia cinematografica importante, in particolare per quanto riguarda il forte sviluppo del film d’animazione e l’imporsi delle sue pellicole a livello globale, insieme a nuove generazioni di registi, autori ed attori irlandesi. Si tratta di un Paese piccolo, ma straordinariamente creativo, capace, grazie anche alla sua storia travagliata e di migrazioni, di esercitare un enorme fascino culturale su tutto il mondo.
Tra le pellicole presentate al festival, ho avuto il piacere di vederne una decina; mi sono tutte parse molto originali e interessanti ed in esse ho ritrovato e vissuto lo spirito irlandese, quell’affascinante concetto di Irishness che si illustrava nel primo paragrafo.
An Irish Goodbye, Gran Bretagna 2022, di Tom Berkley e Ross White, è un cortometraggio appartenente al genere commedia popolare e ambientato in una fattoria delle aree rurali dell’Irlanda del Nord, in cui si racconta del ricongiungimento di due fratelli a seguito della scomparsa prematura della madre e del loro tentativo di esaudire i cento desideri scritti in una lista dalla stessa prima della sua morte.
Barber, Irlanda 2023, di Fintan Connoly, racconta di un investigatore privato alla ricerca di una ragazza scomparsa, invischiato in un giro di uomini potenti e di affari politici torbidi.
An Béal Bocht (The Poor Mouth), Irlanda 2017, di Tom Collins e John McCloskey, è un adattamento animato dell’unico romanzo scritto in gaelico irlandese sotto uno pseudonimo da Flann O’Brien. Presenta una satira sulla vita di un giovane che vive in una zona remota dell’Irlanda occidentale e che, ingiustamente accusato di omicidio, si trova in prigione e rivede tutta la propria vita ed il proprio passato. “I lived in a small, lime-white house in the corner of the glen, on the right-hand side as you go eastwards along the road… I suffered Gaelic hardship throughout my life, distress, need, ill-treatment, adversity, calamity, foul play, misery, famine and ill-luck.” (Vivevo in una piccola casa di pietra bianca in un angolo della collina, dalla parte destra quando percorri la strada verso est… Ho sopportato difficoltà gaeliche per tutta la vita, tensione, privazione, maltrattamento, avversità, calamità, disonestà, miseria, carestia, sfortuna)
Teacups, Australia-Irlanda 2023, di Alec Green e Finbar Watson, presenta la storia di un uomo che vive in una casa accanto alla scogliera, dove intercetta e salva le vite di uomini che nella disperazione tentano il suicidio su quelle rocce lanciandosi in mare. Poi li accoglie nella sua casa ed offre loro una tazza di tè mentre li ascolta parlare. Egli è tormentato però dal fatto di non essere riuscito a strappare il suo miglior amico a quella fine funesta.
Lakelands, Irlanda 2022, di Robert Higgins, racconta la storia di Cian, promettente giocatore di calcio che in seguito ad un trauma cranico mette in discussione sogni e successo vivendo una crisi profonda.
Crock of Gold, USA, UK 2020, di Julien Temple, è un documentario prodotto da Johnny Depp sulla vita ed il successo di Shane MacGowan, fondatore del gruppo musicale irlandese Pogues, da poco scomparso. Si presenta come un viaggio cinematografico attraverso la vita pubblica e privata del grande musicista.
The Quiet Girl, Irlanda 2022, di Colm Bairéad, candidato all’Oscar come miglior film internazionale del 2023, è ambientato in un’Irlanda rurale degli anni ’80 dove una ragazzina trascurata viene allontanata per un’estate dalla famiglia disfunzionale in cui vive ed è data in affido ad una parente della madre. Lì scoprirà e vivrà momenti autentici d’affetto, amore, attenzione, ascolto e quiete.
Room Taken, Irlanda 2023, di Grady Peyton, è un cortometraggio incentrato sul legame tra un’anziana donna non vedente e un senzatetto che, all’insaputa della donna, si stabilisce nella sua casa.
North Circular, Irlanda 2022, di Luke McManus, è un documentario, un viaggio musicale nel cuore di Dublino, ambientato nella North Circular Road, di cui esplora i luoghi più amati e famigerati, gli angoli, la storia e la musica: “Those in power write the History. Those who struggle write the Songs.” (Chi comanda scrive la storia. Chi combatte scrive le canzoni)
An Island, Irlanda 2018, di Rory Byrne, è un cortometraggio d’animazione che illustra il viaggio fisico, emotivo e spirituale di un esploratore che, in solitaria, cerca di raggiungere la sommità di una montagna su un’isola remota.
L’Irlanda raccontata: Joyce e le voci di Dublino
L’affermazione culturale irlandese non avviene soltanto in ambito cinematografico, bensì anche in quello musicale, dove si assiste ad una enorme produzione folk e rock con grandi influenze su molti altri paesi: si pensi a gruppi famosi quali The Dubliners, Pogues, U2, Cranberries, alla cantante Sinéad O’Connor, al cantautore Van Morrison.
La produzione letteraria ne rappresenta però l’eccellenza, con l’assegnazione di ben quattro premi Nobel a grandi scrittori irlandesi: Shaw, Yeats, Beckett e Heaney.
Interessante è vedere l’Irlanda ed in particolare la sua capitale Dublino attraverso l’opera Dubliners (Gente di Dublino) di James Joyce, scritta nel 1907 ma pubblicata soltanto nel 1914 da Grant Richards, poiché rifiutata da parecchi editori per l’immagine squallida e triste della città che restituisce. L’opera viene scritta da Joyce durante gli anni di esilio autoimposto a Trieste: da lontano, lo sguardo rivolto verso il proprio Paese e la propria città diviene più minuzioso, attento, preciso, critico, obiettivo. Joyce nel 1904 sceglie di esiliarsi dall’Irlanda (vive a Trieste, poi Zurigo e Parigi), fuggendo da una Dublino opprimente che gli impedirebbe di realizzare tutti i suoi sogni e ambizioni. Nell’opera si legge di una Dublino angusta, chiusa e religiosa, stagnante e paralizzata, ma profondamente amata dall’autore, tanto da elevarla a simbolo e ombelico del mondo, a tessuto primario di tutte le sue storie, di tutta la sua letteratura. L’opera è composta di 15 racconti popolati dagli abitanti della città, con le loro storie, vite, esperienze personali. Personaggi che fungono da specchio in cui l’autore riflette se stesso, la propria storia e le proprie scelte, la difficoltà e l’angoscia del vivere. Lo stile narrativo è realistico, le descrizioni vengono presentate con precisione lessicale, minuzia dei dettagli, mentre il narratore tende quasi a scomparire dalla scena, a farsi invisibile. I racconti sono raccolti in quattro sezioni: infanzia, adolescenza, maturità e vita pubblica. L’apice dell’opera si trova nell’ultimo racconto The Dead (I Morti) che affronta la crisi morale e spirituale del protagonista, Gabriel. Egli, in un momento epifanico, rivelatorio di una scena a fine racconto, si rende conto di aver fallito nella vita, poiché non è mai stato in grado di affermare se stesso, di perseguire i propri obiettivi fino in fondo; guarda così al passato in modo nostalgico, ma al tempo stesso fa pace con la propria coscienza e la propria anima, accettando ed accogliendo il fallimento.
Tutti i racconti presentano la dialettica tra la voglia o necessità dei protagonisti di fuggire disperatamente da un mondo soffocante e immobile e la paralisi che alla fine delle storie prevale e li tiene prigionieri della loro città, del passato. Trattasi di una fuga senza speranza, già destinata a fallire, e di gente inetta, incapace di affermare il proprio volere, far valere il proprio libero arbitrio.
Joyce crea delle storie universali, sull’umanità in senso lato, che parlano a tutti. Per raccontare il proprio Paese sceglie la prospettiva di “outsider” e dall’esterno fotografa la sua città intrappolata in anni e anni di conflitti e nazionalismi. Lo sguardo esterno, più aperto, lucido e disincantato, con cui guarda al suo Paese fornisce una sorta di rilettura attenta e chiara della storia della nazione irlandese, dove egli stesso ne diviene critico e osservatore, immortalandola in un quadro realistico e perfetto, di cui lui sceglie però di non fare parte.
Bibliografia
Alla scoperta dell’Irishness tra cinema, musica e letteratura, trentofestival .it, edizione 2024
Irishness, Il Paese delle meraviglie tra mito e realtà, HistoryLab Magazine, n.18, aprile 2024
Irlandaonline, La storia del cinema
Irlanda, Enciclopedia del Cinema, 2003, Treccani
Cinema irlandese, Irlandando .it
Massimiliano Basilone, James Joyce: uno sguardo da outsider, febbraio 2021, inchiostro .unipv .it
Francesco Filippi, Il racconto dell’isola che non c’è, HistoryLab Magazine, aprile 2024
James Joyce, Dubliners, Oxford University Press, 2008
E.McWilliams and T.Murray, Irishness and the culture of the Irish abroad, dicembre 2017, Taylor and Francis Online
Beatrice Morra, James Joyce e la Dublino rifiutata, rivista grado zero
K.Walsh, Why are Irish people so precious about Irishness?, novembre 2016, The Irish Times