È recentemente scomparso a Milano, all’età di 82 anni, il Maestro Maurizio Pollini.
Nel presente articolo, si tenterà di mostrare l’eccellenza assoluta, raggiunta in svariate sue registrazioni (sempre, con la “Deutsche Grammophon”).
Bisogna precisare, anzitutto, che Pollini è nato e cresciuto in un contesto familiare particolarmente sensibile alle arti.
Si è imposto, a soli 18 anni, al 1° Posto (1° Premio assoluto) del Concorso Internazionale “Chopin” (Varsavia, 1960). Tra i membri di giuria, lo stesso Rubinstein ha affermato: “Questo ragazzo suona meglio di tutti noi!”. Nel documentario (presente su “YouTube”) intitolato “Maurizio Pollini e la sua musica” , il Maestro ha posto in rilievo ciò che il sopracitato Rubinstein gli ha detto, in merito alla distribuzione del “peso” (è nota, quest’ultima, come la “vexata quaestio” di ogni pianista, che sia amatoriale o concertista). E infatti, in concomitanza con la vittoria a Varsavia, Pollini si è temporaneamente ritirato dalla scena internazionale per perfezionarsi e, come dice lui stesso, “ampliare, allargare il mio repertorio”.
In merito alle sue mirabolanti interpretazioni di Chopin, è d’uopo precisare alcune questioni. Il giovane Pollini ha registrato l’intera “Op.10” degli “Studi”, all’età di soli 14 anni: ciò significa che il prodigio era in grado di cimentarsi con questo repertorio, 4 anni prima di giungere a Varsavia. E infatti, esattamente 4 anni dopo, ha inciso sia “Op.10”, sia “Op.25”, vale a dire tutti i 24 Studi. Il tutto, per confrontarsi nuovamente con quella che, dal 1972 in poi (all’epoca, aveva 30 anni), sarebbe divenuta una vera e propria pietra miliare del repertorio classico. Detta altrimenti: nessun altro pianista è mai stato in grado di dare una simile unità compositiva agli Studi; ma anche, colori vivacissimi, momenti di lirismo misti a tecnica sopraffina, trascendentale.
È così, che Pollini si è mostrato come interprete singolare di Chopin, ma ciò vale anche per l’integrale delle Sonate di Beethoven. Ciò che colpisce nelle esecuzioni di “Tempesta”, “Appassionata”, “Patetica” e “Chiaro di luna”, è una veemenza che riesce, in una sola volta, a configurarsi secondo ordine, chiarezza. Lo stesso per “Waldstein” e “Les adieux”, in cui ci si trova in presenza di esplosioni di gioia. Il tutto, sempre, secondo sonorità nuove, mai esplorate da altri.
Ma anche nel Novecento, con particolare riferimento a Stravinsky, Pollini si cimenta nei “Tre movimenti di Petrouchka”, tra i più proibitivi repertori pianistici. La sua musica e i suoi fraseggi, (entrambi, estremamente chiari) riescono a rendere viva ogni singola nota: dalle ottave rapidissime e ricche di suono (1° movimento) alle dissonanze apparentemente prive di senso (2° movimento), fino al tripudio, parossistico, che sembra svanire letteralmente nel nulla di un glissando (3° movimento).
Vi è altresì una registrazione del 3° Concerto di Prokofiev, che ha eseguito a soli 26 anni, con una tecnica particolare. Infatti, Pollini riusciva a rendere ragione di alcuni passaggi apparentemente inspiegabili, per via dei movimenti “invisibili” delle sue dita e delle sue mani. Si tratta di spostamenti impercettibili che, in altri pianisti, richiederebbero sforzi ai limiti del possibile, oltre ad una fisicità ragguardevole.
In tal senso, Pollini si distacca dalla maniera “poderosa” con cui la Scuola russa (soprattutto Richter, Horowitz, Ashkenazy, Sokolov, Berezovsky, Matsuev, Kissin e Trifonov) si approccia alla tastiera.
E, nel farlo, è stato assolutamente singolare, in quanto capace di dare vita a un “pianismo” innovativo e rivoluzionario, oltre a sonorità ora suadenti e cantabili, ora potentissime e ineluttabili.
Pollini ha raggiunto vette assolute, in ogni sua incisione discografica, come già asserito in precedenza. La capacità di pervenire a tale traguardo appartiene -forse- esclusivamente a Lui.
Non ci resta che farlo rivivere, ascoltando i suoi capolavori e meravigliandoci della sua musica irresistibile.
Stefano Chiesa