
C’è un passo di questo libro che ho trovato emblematico, sia per il significato simbolico legato alle vicende raccontate, sia per la perfetta capacità narrativa dello scrittore che riesce a farci entrare con empatia dentro all’intimità più nascosta di uno dei personaggi principali: “Lo aveva riportato sul piano di una realtà maligna e stravolta, nello spietato universo parallelo di un passato che a volte riusciva a oscurare il presente con le sue ombre.
Le sue lunghe ombre fredde.”
La presenza di queste ombre permea ogni capitolo del romanzo, segno indelebile nelle esistenze dei due sopravvissuti alla “non vita” dei lager nazisti, Fausto e Birgit, e dei loro cinque figli. Lui è un soldato italiano deportato in Germania dopo l’8 settembre 1943, lei è una ragazza tedesca internata per motivi politici. Si incontrano all’ingresso del campo di Mauthausen dopo la liberazione da parte degli alleati e decidono di partire per l’Italia. Costruiranno la loro famiglia nel paese di origine di Fausto.
L’intreccio della storia è imbastito sul gioco dell’alternanza della voce del narratore esterno e di uno dei figli, Kleiner, che rievoca i ricordi dell’infanzia trascorsa a Fort Apache, com’era chiamata la vecchia casa della famiglia Magnani ai bordi delle paludi della Bassa romagnola, un intrigo di canali, acquitrini e piante palustri, dove acqua e terra si fondono senza soluzione di continuità e creano un paesaggio fiabesco. Gli anni trascorrono seguendo il ritmo della quotidianità, nel dipanarsi delle varie situazioni in cui ciascun componente della famiglia si troverà ad agire come seguendo, suo malgrado, una parte che il copione del destino gli ha affidato.
Il dubbio sull’autenticità di un personaggio centrale della storia resterà fino alle ultime righe. Ma sta tutta lì la potenza che sprigiona questo romanzo, nella forza umile di chi ha saputo affrontare le difficoltà quotidiane e i dolori dell’esistenza, portando con dignità e coraggio il peso del “non detto” di un passato che era impossibile cancellare.