Johannes Brahms (1833-1897) è stato un compositore e pianista ungherese. Nel presente articolo, si analizzeranno le seguenti opere, scritte sia per piano solo, sia per piano a quattro mani: “Sonata n.2”, 2 “Rapsodie Op.79” e 3 “Danze Ungheresi”. Da tali componimenti, emerge il fatto -da parte di Brahms- di sentirsi radicato nel Romanticismo, ma anche una sorta di tentativo di spingersi oltre -come, del resto, accade in svariati compositori di cui si è parlato in precedenza, e di cui si discuterà, in seguito-.
Nella 2° Sonata, sono rinvenibili richiami al Liszt delle “Consolations” (per via degli accompagnamenti articolati ed armoniosi). Ad evidenziare l’appartenenza di Brahms ad un periodo postromantico, vi è la presenza di ottave potenti -sempre, sulla falsariga di Liszt e (forse, involontariamente) della Scuola Russa-. Il Finale del 1° mvt pare ripercorrere dei passaggi elaborati da Tchaikovsky, nel suo “Piano Concerto n.1”. Il 3° mvt sembra risuonare di un’atmosfera medievale, “ossianica”. Il Finale dell’intera Sonata ricorda musica beethoveniana (si pensi alla “Sonata n.16”), ricca di scale, volate e abbellimenti.
La Rapsodia “Op. 79 n. 1” è tra i capolavori più noti del genio ungherese. Nella prima parte, vi è una particolare attenzione al “pathos”, di cui è intriso l’intero brano; soprattutto, nella parte che segue il tema, in cui è ben presente la sofferenza, insieme al desiderio di libertà. Si ritrova tutto ciò, nei termini della risoluzione del Finale. La Rapsodia che segue presenta un incipit maestoso, senza raggiungere l’ardore di cui la prima pare essere espressione. Analogamente alla 2° Sonata, vi sono -seppur nell’arco di pochi “fraseggi”- delle sonorità affini a musica medievale. È presente, nell’Opera citata, un profondo senso di ribellione, che viene tematizzato, prevalentemente, nelle “Danze Ungheresi”.
In quest’ultimo senso, le 21 “Danze Ungheresi” paiono orientate a riprendere temi patriottici, mediante espedienti tecnici tra i più disparati. Tradizionalmente concepite come brani da eseguire a quattro mani, sono state trascritte anche per piano solo. La prima e la seconda rispecchiano totalmente i caratteri precedentemente indicati: pare trasparire un potentissimo patriottismo -che, del resto, è caro anche a Liszt, suo compatriota-. La 1° presenta un tormento costante; la parte centrale è, invece, profondamente marziale. La 2° si apre con ottave, ad esprimere sentimenti contrastanti. La 5° -forse, la più nota- è stata ripresa e strumentalizzata anche dai mass media, per via del tema, orecchiabile.
In ultima analisi, volendo porre a confronto le “Danze Ungheresi” di Brahms con le “Rapsodie Ungheresi” del connazionale Liszt e le “Polacche” di Chopin, sarebbe opportuno operare una distinzione fondamentale. Nel secondo e anche nel terzo -come già detto altrove- prevalgono toni rivoluzionari; nel primo, invece, vi è la ripresa di temi tipicamente ungheresi, insieme a svariate variazioni, dal carattere meramente sperimentale.
Lo spirito irredentista di Brahms ne testimonia la difficoltà ad essere ascritto ad un unico ed esclusivo filone musicale, che “ponga” la radice nel Romanticismo, e che -realmente- si “esponga” verso linguaggi innovativi: così accade, nelle Opere analizzate.
Stefano Chiesa