Alla luce dei cambiamenti sociali, si può considerare la poesia delle migrazioni come una poesia civilmente impegnata e consapevole della frattura di identità che si riscontra in questa Italia contemporanea. In questo contesto la lingua può essere considerata come portavoce del linguaggio e un fattore di integrazione sociale ed individuale.
È con questa premessa che introduco l’incontro di sabato 21 ottobre 2023, in cui insieme a Fabio Sebastiani, poeta e radiogiornalista; Cinzia Rota, poetessa e artista; Anna Lombardo, delegata del WPM Europe e rappresentante POP, Gianfranco Bonesso, esperto di politiche sui migranti al Comune di Venezia, Enrico del Gaudio, poeta, Moaffak Moadidi medico e poeta, Salim El Maoued medico e poeta, parleremo di poesia e immigrazione nella prospettiva di una nuova visione dell’accoglienza e dell’Intercultura.
Dai primi anni Novanta, che segnano l’inizio della produzione editoriale da parte di autori stranieri che utilizzano l’italiano come lingua di espressione letteraria, le scritture migranti hanno subito notevoli evoluzioni, tanto sul piano tematico e formale quanto su quello linguistico.
I testi dei “migrant writers” si sono moltiplicati e, con questi, anche le metodologie di analisi, i campi di ricerca e le modalità stesse di osservare la produzione letteraria. Le unità di attenzione della poesia migrante si sono spostate dall’osservazione per il dettaglio ai “campi estesi” di una nuova visione interculturale della letteratura del nostro secolo e questo spostamento continua ad accendere nuovi discorsi attorno alle scritture migranti, che non si fermano.
Attualmente potrei fare un’analisi lontana da ogni pretesa di esaustività, visto che questo tipo di poetica è in evoluzione e in continuo movimento. A questo punto invece di risposte, desidero porre delle domande che possano stimolare il dibattito critico dello stato attuale di questo tipo di scrittura che negli anni in Italia è passata da un tipo di scrittura autobiografica a una scrittura ampia e creativa. Come può nascere il gioco della risonanza per unire tante culture in uno scenario culturale che accolga insieme tutti i poeti? Mi piacerebbe indirizzare il focus sull’autonomia di queste nuove poetiche, volte a uno scambio di suoni, simbolismi e modi di dire.
“La letteratura è la via del colloquio più intenso e paritario tra le culture; è la via della ospitalità profonda” (da “Il rovescio del gioco” di Gnisci – 2003, 56). Questo concetto, che è alla base dell’idea del critico sulla “creolizzazione” dell’Europa – proveniente da Glissant (1998) e principio base del suo pensiero – ha costituito negli anni Novanta una visione transnazionale che permette di raggiungere la comprensione dell’attuale letteratura degli scrittori migranti: rendere la tradizione e l’immaginario occidentale, in particolare quello italiano con caratteristiche mondiali: “Solo il migrante può narrare e cantare il ‘caso umano’ del nostro tempo con una lingua che possa essere tradotta in tutti i mondi” (ibidem, 106).
Il concetto parte dal fatto che le tradizioni, le culture, la musicalità, etc, di tutti i paesi del mondo riescano a scambiarsi in modo paritario, conseguenza dell’aspetto poetico della migrazione. E lo scambio, in questo contesto, è reso possibile dal fatto che lo scrittore scriva direttamente nella nuova lingua, senza l’interposizione culturale del traduttore, costruendo così una via comunicativa tra la cultura/lingua di origine a quella nuova del migrante. E in tal modo questa letteratura riesce ad arricchire il concetto di nazione, ormai superata nella sua ristrettezza.
Il viaggio, il percorso sono da considerarsi altrettanto paritari rispetto all’origine, alle radici e il linguaggio, la scittura della strada percorsa diventano fondamentali nell’esperienza umana.
Il legame tra ‘cultura’ di provenienza e cultura ospitante offre un nuovo ‘luogo’ ai significati. A mio giudizio, nessuno è vincolato in permanenza alla sua “identità”; ma neppure è possibile disfarsi delle specifiche strutture delle proprie radici, della propria storia, comunque il viaggio incide trasversalmente.
Gnisci individua due fasi distinte nell’evoluzione delle scritture migranti. La prima, definita esotica, viene compresa tra gli anni 1990 e 1992, durante i quali le grandi case editrici si mostrarono interessate al problema dell’emigrazione, mosse da una filosofia merceologica e nell’intento di soddisfare la richiesta di una considerevole nicchia di lettori italiani. Terminato il triennio ed esauritosi il fenomeno commerciale, si apre la seconda fase, definita carsica “in ragione del fatto nuovo della sparizione dal mercato di questa produzione letteraria, ma della sua vita ed evoluzione nella dimensione parallela del mondo del volontariato e della cultura del ‘non-profitto’, o, a volte, nel mondo della clandestinità e dell’anonimato” (Gnisci 2003, 93). Nonostante – o forse proprio grazie all’assenza del mondo editoriale, la letteratura migrante ha avuto l’opportunità di crescere e divenire complessa, nonostante le grosse difficoltà incontrate per emergere, visto che è stata abbandonata a se stessa.
Facendo un excursus storico, tra il 1990 e il 1991 appaiono i primi testi di natura autobiografica, della prima fase: Immigrato (Methnani, Fortunato 1990); Il venditore di elefanti (Khouma, Pivetta, 1990); Chiamatemi Alì (Bouchane, Miccione 1990); La promessa di Hamadi (Moussa Ba, Micheletti 1991); Dove lo stato non c’è (Ben Jelloun, Volterrani 1991). Partendo da fatti di cronaca sugli atti di razzismo, cominciano a essere scritti, racconti nei quali a parlare è la voce dei migranti, ma l’autore straniero è, spesso, affiancato da un curatore italiano (coautorialità), “preposto dall’editore a ‘riconvertire’ in una lingua corretta la versione originale” (“Le molte voci del soggetto nomade” – Comberiati – 2007). Probabilmente spinte più dal dibattito mediatico scatenatosi dagli episodi di razzismo che dalla specificità letteraria degli autori, le grandi case editrici pubblicano questi testi che, puntando sulla testimonianza diretta, potevano raccogliere un’intensa riflessione civile sull’attualità. Nel frattempo si muovono anche le associazioni interculturali, le riviste specializzate e una certa critica accademica.
La letteratura dell’emigrazione è un passaggio che implica la chiusura di una vecchia vita e l’inizio di una nuova, e “la scrittura (in italiano) è il modo per affermarsi nel paese di origine e di manifestare la propria esistenza. Questi primi scritti rappresentano un genere ibrido fra l’autobiografia e la fiction, nel quale l’esperienza personale e la narrazione di fantasia si mescolano senza soluzione di continuità. L’utilizzo della cifra autobiografica all’interno del racconto di finzione è un elemento costante nella prima fase della letteratura di migrazione” (ibidem, Comberiati- 2007).
La seconda fase, che ancora continua, vede gli stranieri di seconda generazione oppure di prima generazione come me, ma dopo anni di coabitazione con la cultura italiana, prendere la penna in mano, trasformando così la visione e aprendo per la lingua italiana altre finestre. Io, con rispetto verso i grandi e i primi, non posso non citare un poeta come Gëzim Hajdari, considerato oggi il poeta più rappresentativo tra i “migrant writers” italiani. Questo autore nella sua ampia produzione poetica e in modo particolare nel suo ultimo volume (2015), ha portato alla luce spaccati del corpus epico albanese, così come passaggi dei cantori greci e frammenti letterari da tempo abbandonati dalla scrittura poetica “occidentale”. La contaminazione poetica della poesia di immigrati, in generale, unisce ogni passaggio, dando origine a una poetica meticcia, mescolata e del multiculturalismo.
“I migrant writers” sono riconoscibili, trasportano i lettori da una sponda all’altra e creano ponti, che fanno passare in altri mondi di immagini, nuovi universi semiotici, che mettono in comunicazione le culture, le storie, le conoscenze. Spesso sono anche traduttori e sanno muoversi agilmente tra più culture, manipolandole, amalgamandole, rivelando codici di lettura.
La scrittura migrante, proprio per il suo status di confine, a metà fra lingue, culture, identità, appare difficilmente etichettabile. Ha una vita tutta sua … in viaggio.