“El futuro. El futuro respondí. Puedo predecir el futuro de los libros del 900” (capitulo 13 pagina 122)
Riflessione di Bolaño a inizio libro. Egli afferma tramite le parole di Auxilio: “Questa sarà una storia di terrore”; e a mio avviso, mai autore fu più onesto nell’avvertire il lettore, stesso lettore che potrebbe pensare che si tratti di una frase d’effetto, messa, come introduzione, con l’intento di attirare soltanto attenzione. Di sorprendere. Di stupire. Di sbalordire. Questo viaggio fra le strade messicane, cosa mostra realmente al lettore? In realtà non lo sappiamo. Nessuno lo sa. Queste strade sono come un vero e proprio amuleto: lo guardi e non sai che tipo di accezione potrebbe avere. La cosa sicura è una: negativamente o positivamente ti colpirà, e nel farlo non avrà pietà.
La ricerca di trovare risposte, spingerà il lettore più volte alla lettura per cercare di colmare la grande e profonda voragine venutasi a creare e che, al contempo, fallirà. Il lettore può provare a lottare ma sbagliando più volte. Perché? Perché con Amuleto si può solo resistere.
A circa metà romanzo, Bolaño presenta al lettore la figura di Arturo Bolaño, un personaggio che lascia l’amaro in bocca, visto che Bolaño non scriverà completamente la sua dimensione poetica. Questa figura artistica viene presentata al lettore come il giovane poeta preferito da Auxilio. Come non vedere in questo personaggio Roberto Bolaño stesso? Questo è un personaggio che si evolve, subendo una trasformazione completa. Inizialmente è soltanto un ragazzino di 17 anni che Auxilio vuole sotto alla sua ala protettiva, conoscendo, in lui, un alto potenziale poetico; successivamente parte per la guerra, e al suo ritorno in patria, il Messico, Arturo è un uomo completamente cambiato: un uomo che si fa fatica a riconoscere. Un uomo avvolto dalla disillusione.
L’animo femminile di Bolaño
“Mentre Don Pedro Garcias, al contrario, ti guardava e poi spiava lo sguardo, uno sguardo carico di tristezza e lo posava, non so, diciamo sul portafiori, o su uno scaffale pieno di libri. Uno sguardo carico di malinconia. Ed allora io pensavo: che diavolo avrà quel portafiori, cosa avrà mai il dorso di quei libri sui quali si posa il suo sguardo, a tal punto da scatenare tanta tristezza? E a volte mi mettevo a riflettere (quando lui non era nella stanza o quando non mi guardava), mi mettevo a riflettere e mi mettevo persino a guardare il portafiori in questione o i libri, arrivando alla conclusione (conclusione che, d’altra parte, non tardava a scartare) che li dentro, dentro a quegli oggetti all’apparenza così inoffensivi, si celasse l’inferno o, almeno, una delle sue porte segrete”.
Auxilio è la madre dei poeti. È la madre dei personaggi in bilico tra realtà e sogno. Di uomini ombra che sbirciano la vita dalla soglia i quali hanno intravisto un piccolo fascio di luce (che hanno solo sfiorato) e che non hanno avuto il coraggio di attraversare. Il lettore incontra le figure poetiche in questo modo molto particolare: chiassosi spavaldi, umili e fumosi, nell’attesa ansiosa, dell’inizio del nuovo giorno. Voltando pagina, il lettore li riscopre fragili e silenziosi negli angoli di città del Messico, lasciandoli liberi nel mentre intonano il loro canto che rappresenta un po’ l’amuleto di ogni lettore. Un canto fiero ma soffocato, pregno di parole ma evanescente. I poeti sorgono fra le pagine di Amuleto attraverso le proprie debolezze, i propri piccoli difetti e quella polvere di vita che solo Auxilio è in grado di cogliere. Il lettore viene a conoscenza del loro passato, intravedendo il loro futuro e riuscendo, così, a coglierne i piccoli attimi del loro presente. I piccoli frammenti di vita si mostrano in tutta la loro pienezza all’occhio di Auxilio che riesce a coglierne l’unicità, la forza e la sete di vita di questi straordinari poeti che, soltanto grazie alla penna di Bolaño, potranno vivere per sempre. Molto probabilmente, Auxilio non sarebbe mai stata la madre di tutti i poeti messicani senza la figura di Don Pedro Garcias, il quale ci viene presentato come un uomo malinconico e, proprio attraverso questa profonda malinconia, che egli guarda nel suo portafiori. Quello del vaso è uno degli episodi più oscuri e macabri, metaforici ed illogici di tutta la narrazione. Ma perché Don Pedro Garcias si perde all’interno di questa oscura voragine? Cosa nasconde, al proprio interno, questo oggetto così semplice e banale a prima vista? Cosa rappresenta? Queste, e molte altre, sono le domande che affliggono, tormentano e perseguitano Auxilio e, soprattutto, il lettore. La risposta della madre della poesia sarà una: L’INFERNO.
Centoquarantuno pagine che offrono al lettore uno stile che si traveste da voce originale, una voce rauca, seducente, pastosa. E questo è lo stile particolare che usa Bolaño. Fondamentalmente, per confonderci. Uno stile intriso di slanci malinconici che supporta i personaggi, i quali sono descritti con due parole e che vive in un’ambientazione che si erige nell’immaginario quasi in maniera naturale. È uno stile devastante. Le parole cadono sul lettore come macigni senza dare tregua fino a creare un forte e profondo senso di asfissia. Un senso di soffocamento che il lettore porterà con sé anche dopo aver terminato questo percorso, un percorso che viene raccontato in bilico fra realtà e fantasia, capace di improvvisi cambi di marcia, di creare atmosfere surreali senza mai staccare i piedi da terra, facendo lievitare la narrazione attraverso un atteggiamento prepotente e, in qualche modo, non duraturo. Se dovessimo identificare tutto questo in una sola parola questa sarebbe: INFRAREALISMO. Ma cos’è? L’infrarealismo è un movimento poetico fondato fra il 1975 ed il 1976 in Messico. L’infrarealismo voleva allontanarsi dalla poesia drastica in favore di una poetica libera ed immediata. Il suo obiettivo era, letteralmente: far saltare in aria il cervello alla cultura ufficiale. Complice? Il disprezzo verso la cultura accreditata per i suoi rapporti stretti con la politica, e Roberto Bolaño, fu uno dei massimi esponenti del movimento. In particolare, nello stile e nella poetica di Bolaño si fondono: il vigore di Vargas Llosa, il realismo magico di Gabriel García Márquez e le labirintiche metafore di Jorge Luis Borges.
Tutto convive e si fonde in uno stile reale ed onirico.