Sergej Vasil’evič Rachmaninov (1873-1943) è stato uno dei più importanti pianisti e compositori russi.
All’interno di un dibattito musicologico, viene associato al periodo del “postromanticismo” (fine Ottocento / inizio Novecento), in quanto la sua musica è caratterizzata da svariati richiami a Chopin e Liszt. Dal polacco, “eredita” una scrittura che riprende accompagnamenti ed armonie simili; soprattutto, nei primi anni della sua produzione. Rispetto all’ungherese, pare essere uno dei “continuatori” del virtuosismo pianistico.
Ciononostante, nel russo vi è ancora di più.
La chiarezza tipica di Chopin assume un processo di elaborazione, volto alla creazione di nuovi linguaggi: i Momenti musicali (1896) e Les Etudes-Tableaux (1911/16). Ciò si verifica, del resto, anche in relazione a Liszt, grazie al quale Rachmaninov affina espedienti tecnici innovativi, al servizio di sonorità estremamente variegate: i Preludi (1903/10) e le Sonate (1908/13). Si tratta, ancora, di un livello pianistico “trascendentale”.
Ciò che emerge dall’intera opera pianistica di Rachmaninov, è un approccio viscerale nei confronti della musica: la capacità di sondare l’animo umano, dagli abissi di una vera e propria depressione, fino ai trionfi che si colgono nella maestà di diversi suoi componimenti. Queste considerazioni troveranno i loro esiti parossistici nel connazionale Alexander Scriabin (1872-1915), che ne condividerà profondamente l’atteggiamento.
È innegabilmente passato alla storia, con i suoi 4 Concerti per pianoforte e orchestra e la Rapsodia su un tema di Paganini.
Il Concerto n.2 (1901) è un’opera che Rachmaninov conclude dopo aver sofferto ben 3 anni di depressione, conseguenti all’insuccesso della sua 1a Sinfonia (1895/97). Dopo la terapia dello psicanalista Nikolaj Dahl, il russo gli dedica il Concerto, in segno di gratitudine. Il tema iniziale è piuttosto conosciuto, ed è stato riproposto in vari contesti mediatici. Si articola nel 1° Movimento e “prelude” a sviluppi molto ricchi, sul piano melodico, armonico ed espressivo; prevale un’atmosfera cupa e malinconica. Il 2° Movimento, lento e dolce, evoca atmosfere “immateriali”, per via del continuo dialogo, tra: pianoforte, “fiati” e “archi”. Il 3° (ed ultimo) è un’autentica esplosione a carattere marziale, che si alterna ad attimi di lirismo; per poi sfociare nel finale, trepidante.
Rachmaninov giungerà, in seguito, al compimento del suo (molto probabilmente) più grandioso capolavoro: il Concerto n.3 (1909). Il 1° Movimento consiste nell’esposizione e riproposizione, notevolmente articolata, del tema iniziale, che si presenta con apparente “semplicità”: tutto l’impianto (sia armonico-tonale, sia compositivo) di tale movimento viene costruito a partire da questo, e a quest’ultimo ricondotto, al termine dell’introduzione. È inframmezzato da una “cadenza” (della durata di circa 3 minuti) che assorbe, in se stessa, uno dei momenti più drammatici (a livello sentimentale) e monumentali (sul piano esecutivo) della letteratura pianistica. Di tale cadenza, sono state concepite due versioni simili, ma differenti, per quanto concerne (soltanto) lo sviluppo della parte centrale. Il 2° Movimento è assolutamente singolare, nell’economia della produzione artistica del russo: ci si trova proiettati in un contesto, per giunta, “esotico” e “orientaleggiante” (simile ai Concerti del francese Ravel). Il 3° Movimento, dall’andamento prevalentemente marziale (in modo più marcato, rispetto al precedente Concerto) espone, poco prima del finale, una situazione molto simile alla cadenza del 1°: una raffica improvvisa dà luogo, in meno di un minuto, alla conclusione, maestosa e commovente.
Riteniamo doveroso segnalare il film “Shine” (1996; premio Oscar a Geoffrey Rush, migliore attore protagonista) che racconta, attraverso la biografia del pianista australiano David Helfgott, come uno studio ossessionante del 3° Concerto lo abbia condotto ad una seria compromissione delle (sue) condizioni psichiche. Sebbene il film tenda ad enfatizzare talune problematiche (di cui non si può constatare l’effettivo riscontro, nella realtà), uno dei “messaggi” principali ad essere veicolato, è esattamente la stessa concezione “viscerale” del pianoforte e della musica, che Rachmaninov ha indubbiamente trasmesso ai posteri.
Tra gli apprezzamenti più significativi dei suoi capolavori, vi è quello di Arthur Rubinstein (1887-1982), da molti ritenuto uno dei più grandi Maestri del XX Secolo: “Rachmaninov was a pianist over my fancy: he knew the inimitable tone coming from the heart”.
Stefano Chiesa
Fonte Foto: “Classic FM”