Vita, capolavori, lettere e filosofia
Ripercorrendo alcune tra le fasi più importanti della biografia di Chopin, risulta opportuno citare l’abbandono della patria (Polonia), all’età di soli 20 anni.
Il pianista se ne allontana, definendo in una delle sue prime lettere (con toni derisori) la musica locale come delle “canzoncine da osterietta”.
La terra natia resterà sempre oggetto di notevole nostalgia.
Tra le composizioni che meglio mettono in luce questo sentimento, vi sono la “Polacca Op. 44”, la “Polacca Op. 53 Eroica” e lo “Studio Op. 10 n. 12”.
La prima e il terzo sono espressioni dell’istinto patriottico, seppur declinate secondo gesti tecnici differenti. “Op. 44” è caratterizzata dalla presenza di “ottave” potenti, a sottolineare la perentorietà e la drammaticità dell’animo chopiniano. “Op. 10 n. 12”, invece, si distingue per gli “arpeggi” estesissimi suonati dalla mano sinistra, come accompagnamento delle ottave della destra.
Altrimenti noto come “La caduta di Varsavia”, tale capolavoro viene realizzato quando Chopin apprende la notizia della presa di Varsavia, da parte dei russi.
Il critico Alfredo Casella riporta un frammento epistolare, nel quale Chopin estrinseca la sua indignazione:
“O Dio, dove sei? Se anche tu esistessi, saresti forse tu stesso un russo?”.
A differenza di questi 2 brani, la “Polacca Op. 53 Eroica” è in assoluto tra le più ascoltate; conosciuta per l’andamento maestoso e baldanzoso. È curioso che l’amico Franz Liszt, nella parte centrale dei “Funerali”, citi espressamente Chopin: in entrambe le opere, dominano delle ottave roboanti e ardue da controllare, in termini tecnici.
Vi è, poi, l’innamoramento nei confronti della scrittrice Aurore Dupin (1804-1876), che conduce Chopin alla creazione della “Sonata n.2, Op. 35” e dei 24 “Preludi”.
La relazione -estremamente intensa e controversa- tra i due, dura circa 8 anni. Già in questo (ed altri) periodo, l’ epistolario chopiniano assume toni pessimistici e disillusi, riguardo alla vita.
In una lettera, paragona l’uomo ad un “cembalo malfunzionante” (da notare la similitudine a carattere “strumentale”), creato da un “liutaio stradivario” (un’ipotetica divinità) che “non è più qui per aggiustarlo”. In altri termini: l’uomo è vittima di una “malattia mortale” (come la definisce il filosofo Kierkegaard), dalla quale non può né sfuggire, né guarire.
In questa lettera, trova corrispondenza un’altra epistola, in cui Chopin dichiara di essere “più vicino alla bara, che al letto nuziale”.
In un’ulteriore testimonianza epistolare, il pianista afferma di “fraternizzare matematicamente” con la morte.
È indiscutibile come l’intera Opera pianistica di Chopin risulti intrisa di queste istanze esistenziali, che fanno, di lui, un musicista e pensatore novecentesco “ante litteram”.
Tali componenti trovano massima espressione in vari Preludi.
Il n. 14 presenta una “coerenza interna” (terzine suonate all’unisono da entrambe le mani, in connessione con il Finale della 2ª Sonata) ed una “coerenza esterna” (in consonanza con Scriabin, 2ª Sonata, 2º Movimento).
Lo stesso, per il n. 22 (ulteriore rimando a Scriabin, “Preludio Op. 11 n. 14”).
Il n. 18 è tanto tragico, da meritare l’appellativo “il suicidio”.
Il n. 20 espone degli “accordi” che paiono trovare il corrispettivo nel 1º Preludio di Rachmaninov.
Infine, nella misura in cui un musicista non può fare a meno di dichiarare, attraverso le sue note, la sua (stessa) visione del mondo, sembra che Chopin sia stato ritenuto degno di riflessioni non solo musicologiche, ma anche filosofiche. È il grande filosofo Vladimir Jankélévitch (1903-1985) a citarlo sovente, nelle sue opere più significative, fra le quali spiccano “La morte”, “Da qualche parte nell’incompiuto”, “La musica e l’ineffabile” e “L’irreversibile e la nostalgia”.
La filosofia jankélévitchiana è pervasa da innumerevoli riferimenti a Chopin: la sua musica è ineffabile (in quanto immateriale); si avvicina all'”irrevocabilità” e all’ineluttabilità della morte.
Tuttavia, attraverso la sua immaterialità, l’Opera chopiniana “ritaglia l’insularità biografica di un’esistenza, il cui significato si è rivelato universale”.
Così scrive il filosofo.
In tal senso, la valenza della musica e della vita oggetto del presente articolo corrisponde al “riconoscimento postumo” del genio polacco.
Stefano Chiesa
Fonte dell’immagine: “RAI Cultura”