Fryderyk Chopin (1810-1849), noto a molti come “il poeta del pianoforte”, è spesso considerato il compositore romantico per eccellenza. Secondo tale accezione, ci si riferisce al Romanticismo dell’Ottocento, periodo storico-culturale che trova, in Parigi, il suo “cuore pulsante”. Qui, Chopin si trasferisce a circa 20 anni; vivrà l’allontanamento dall’amata Polonia, come se fosse un esilio.
Tra le diverse fonti a noi pervenute, particolarmente significativi sono gli scritti della sua amante: una scrittrice, nota con lo pseudonimo maschile di “George Sand” (Aurore Dupin, 1804-1876). I due hanno vissuto una storia d’amore tormentata (1838-1847).
In un soggiorno presso Palma di Maiorca (1838), Sand racconta come Chopin fosse ossessionato dalla perfezione: rimaneva chiuso per ore, nella sua stanza, finché non trovasse la nota da posizionare in un punto preciso, sulla partitura. Chopin viene descritto dall’amante, come un uomo dall’animo nobile ed estremamente sensibile e fragile. Vive quest’esperienza intensa e raggiunge la piena maturità: a 30 anni, compone i 24 Preludi e la Sonata n. 2 (Op. 35). I Preludi esprimono sfumature totalmente diverse, le une dalle altre, in termini di melodie e ritmi. Tra questi, ricordiamo: il 13mo (tra le sue musiche più soavi e meditative); il 14mo (toni gravi e lugubri); il 15mo (noto come “Raindrop”: armonie dolci e malinconiche), il 24mo (musica tragica e appassionata, che presenta caratteri comuni con i Notturni e gli Studi).
L’architettura compositiva dei Preludi viene “mutuata” da Bach (Clavicembalo ben temperato) e sarà ripresa dal francese Debussy (1862-1918) e, in particolare, dai russi Rachmaninov (1873-1943) e Scriabin (1872-1915), in un contesto “post-romantico”.
La Sonata n.2, denominata “marcia funebre”, pone in netto contrasto un incipit turbolento, con delle “parti centrali” meravigliosamente liriche: ciò accade per i primi due movimenti (Grave. Doppio movimento e Scherzo). Seguono la vera e propria marcia funebre ed il finale, che pone notevoli problemi interpretativi, per via dell’assenza di una melodia e di una “linea di canto” ben precisa. Ciò significa che, con la Sonata Op.35, Chopin si spinge verso la decostruzione della musica classica e romantica, preconizzando parte della musica del Novecento: “atonalità” (non vi è una “tonalità ben definita”) e “disarmonia” (nemmeno una “coerenza armonica”).
Da altre sue opere, diametralmente opposte, emergono entusiasmo, brillantezza e virtuosismo.
Giusto per citarne qualcuna: Studi Op. 25 n.1, Op. 10 n.1, Op. 10 n.8; Scherzo n.4; Ballata n.3; Barcarolle Op. 60; Polacca Op.53, “Eroica”.
L’animo di Chopin risulta, dunque, più che mai abitato da forti contraddizioni, ma sembra trovare una risoluzione, attraverso l’esaltazione della bellezza che si ritrova nel valore intrinseco delle sue melodie e delle innumerevoli modulazioni armoniche (l’armonia è sottoposta a continui cambiamenti). Ciò costituisce una notevole ricchezza, e comporta gli apprezzamenti da parte di moltissimi ascoltatori.
Tra i componimenti più drammatici, ricordiamo (oltre ai Preludi e la Sonata n.2): lo Studio Op. 10 n.12 (profondo senso di ribellione per la “caduta di Varsavia”, appellativo conferito a tale opera); la Mazurka Op. 68 n.4, la Polacca Op.44 (temi evocativi, potentemente patriottici); le Ballate e i Notturni (dove emergono atmosfere di grande dolcezza, in netto contrasto con impetuosi cambi di “registro”).
La storia d’amore con George Sand, l’“esilio” a Parigi e la realizzazione delle opere sopracitate ci mostrano “uno” Chopin fortemente provato dalla vita, a tal punto da trasporre, in chiave pianistica, dei vissuti sofferenti ed estremamente intensi.
Per concludere, riprendiamo due testimonianze.
L’amico Liszt (1811-1886) lo descrive come “la stella più brillante”, nel “firmamento” dei romantici nella Parigi ottocentesca.
Infine, il filosofo Jankélévitch (1903-1985) scrive: “Con Chopin, l’uomo prende consapevolezza del profumo delle cose che periscono, e dell’istante irreversibile”.
Lo stesso istante irreversibile che è la morte assume, attraverso la musica di Chopin, una valenza, al tempo stesso, “umana, troppo umana” (come avrebbe detto, un secolo dopo, Nietzsche) e metafisica: attraverso la sua natura immateriale, la musica di Chopin è -a distanza di due secoli- ancora acclamata, ascoltata e riprodotta, nelle sale da concerto.
Stefano Chiesa
Fonte della foto: “Wikimedia Commons”