Boris Leonidovič Pasternàk, uno dei più grandi poeti e scrittori russi del Novecento, ha saputo mostrare come la letteratura è una pagina di storia nella sua forma stilistica migliore, standosene rinchiuso in un piccolo appartamento moscovita, dove la stanza è una “scatola con una rossa melarancia”.
Nato a Mosca nel 1890, in una colta famiglia di origine ebrea, Boris Pasternàk esordì nella vita intellettuale russa durante quel periodo in cui il cubo-futurismo portava con sé irrefrenabili esperienze di rinnovamento letterario. E anche se il bisogno di rinnovamento animava la sua ispirazione, Pasternàk rimase sempre fortemente legato alle tradizioni della sua terra.
In Autobiografia e nuovi versi descrive con queste parole la sua Mosca, quella dell’infanzia:
“Alla fine del secolo Mosca conservava ancora la sua vecchia fisionomia di angolo remoto, tanto pittoresco da sembrare favoloso, con le caratteristiche leggendarie di una terza Roma e di una capitale dell’epoca eroica, nella magnificenza delle sue stupende, innumerevoli chiese.”
In quel paesaggio russo, infinitamente familiare, Boris Pasternàk ambienterà il suo capolavoro, Il dottor Živago, evidenziandone i tratti storici, che con lui si fanno letteratura.
Ma tutto comincia con la poesia, all’interno della quale domina indisturbata la natura (“Nel vento che prova con un ramoscello / se per gli uccelli sia tempo di cantare, / sei intriso d’acqua come un passerotto, / ramo di lillà!”), ma anche l’amore intriso di quotidianità (“È peccato che tu non sia una vestale: / sei entrata con una sedia, / hai preso la mia vita come da uno scaffale / e ne hai soffiata la polvere”), che si rivelò improduttiva ai fini della propaganda, quindi la storia con la sua violenza fece di questo straordinario letterato un perseguitato.
Non essendo ben visto dal governo liberticida del regime bolscevico, Pasternàk scelse l’isolamento, vivendo in disparte per poter salvaguardare la sua libertà di pensiero; in questo clima maturò il romanzo, Il dottor Živago, da cui venne tratto l’omonimo film, diretto da David Lean nel 1965.
Un isolamento tuttavia a cui rimase ancorato anche dopo il Premio Nobel per la Letteratura, conferitogli nel 1958, con la pubblicazione in Italia di Živago, avvenuta per opera di Giacomo Feltrinelli Editore, nel 1957, quando il manoscritto riuscì a superare i confini sovietici: un premio che tuttavia non poté mai ritirare, a causa di una dura condanna da parte del mondo politico e letterario sovietico. Divenuto oggetto di persecuzioni da parte dei servizi segreti russi, Boris Pasternàk visse gli ultimi anni della sua vita in povertà e solitudine.
“… Bisognerebbe parlare degli anni, delle circostanze, degli uomini, dei destini che si sono trovati rinserrati nella cornice della Rivoluzione. Di tutto un mondo di fini e di aspirazioni, di compiti e di eroismi mai prima conosciuti; di una nuova pudicizia; del nuovo rigore e delle nuove prove che questo mondo nuovo ha imposto alla persona umana, all’onore e all’orgoglio, all’amore per il lavoro e alla resistenza dell’uomo. Ecco, questo mondo unico, ineguagliabile, si è ritirato nella distanza dei ricordi, e s’erge all’orizzonte come monti visti da un campo, o come una grande città lontana, fumigante tra i bagliori di un incendio notturno. Bisognerebbe scriverne in modo da far rizzare i capelli, da far inorridire. Scriverne in modo pappagallesco e convenzionale, scriverne in modo da non destarne raccapriccio, scriverne con colori meno vividi di quelli usati da Gogol’ e Dostoevskij nel descrivere Pietroburgo – non soltanto è senza senso e senza scopo, ma è cosa vile e disonesta.
Ma siamo ancora lontani da questo ideale…” –Boris Pasternàk dall’Autobiografia.
Le vicende del dottor Živago si intrecciano alla Prima guerra mondiale e alla Rivoluzione d’ottobre, che aprì la strada al totalitarismo, sullo sfondo la Russia con la rievocazione di quella che fu la sua realtà fra la fine del secolo e la grande guerra, il tutto strutturato attraverso uno scenario epico, un affresco intenso, filtrato dalla sensibilità poetica dell’autore, che traccia un mondo in cui le vicende dei protagonisti si svolgono tutte al di fuori dello schematico realismo socialista. Ed è questo “al di fuori” che fece del dottor Živago non un’opera antisovietica, ma addirittura a-sovietica, consacrata da quel Nobel, che Paternàk fu costretto a rifiutare: “Per il significato che al vostro premio attribuisce la società in cui vivo, io devo rinunciare a questo riconoscimento, che mi è stato immeritatamente attribuito. Vi prego di non considerare nel senso di un’offesa questa mia volontaria rinuncia”.
L’intellettuale russo, Jurij Živago, delinea nel suo specifico la storia: il racconto si apre con il funerale della madre di Juij, nel momento in cui, ancora bambino, si rende conto di essere rimasto solo al mondo, fino a quando, trent’anni dopo, sceso da un tram stracolmo di gente, si abbatte sul selciato di una strada di Mosca, dopo aver intravisto su un tram Lara, il grande amore della sua vita (“Senza farci caso, riuscì a sottrarsi alla ressa e scese dal tram fermo sulla strada; fece un passo, un secondo, un terzo, si abbatté sul selciato e non si rialzò più”).
Attorno a Lara Antipova ruota l’intero racconto autobiografico, a cui si intrecciano personaggi, storie e fatti, che segnano il percorso di un’intera vita, nell’arco temporale di trent’anni.
Boris Pasternàk morì nella sua dača, il 30 maggio del 1960, a causa di un cancro ai polmoni, diagnosticato dai medici un anno prima.
In Unione Sovietica la pubblicazione de Il dottor Živago avvenne nel 1988, in piena perestrojka, sulla rivista Novyi Mir (numeri 1 – 4) e sotto il governo di Michail Gorbaciov, grazie alla politica di liberalizzazione da lui attuata.
“… Basta quello che ho scritto, per dare un’idea di come, nel mio caso particolare, la vita si sia sublimata in creazione artistica, e come questa sia nata dal destino e dall’esperienza. Ho già detto con quanta perplessità io consideri il passato poetico, mio e di molti. Non oserei togliere dall’oblio i tre quarti di ciò che ho scritto… Da poco ho terminato la mia opera principale, la più importante, l’unica di cui non mi vergogno, di cui rispondo senza paura, Il dottor Živago, romanzo in prosa con appendice poetica. Le poesie disperse lungo tutti gli anni della mia vita sono i gradi preparatori del romanzo…” –Boris Pasternàk dall’Autobiografia.
Savina Trapani