HUSSERL E IL CIABATTINO
Nella Crisi Husserl ammoniva che non dobbiamo perderci nella tecnicizzazione. Non dobbiamo cioè utilizzare forme di ragionamento senza averle comprese, ovvero senza aver chiarito come arriviamo a costituirle a partire da un rapporto con il mondo irriflesso.
Ho sempre inteso così la filosofia della scienza e della tecnica, come un lavoro di comprensione dei più complessi linguaggi che utilizziamo per fare scienza e per costruire tecnologie nuove.
Nella seconda metà del Novecento si è diffuso sempre di più l’atteggiamento shut up and calculate. Feynman diceva che nessuno capisce la meccanica quantistica e Fermi neanche ci provava a comprenderla.
L’apprendista stregone che è in noi non è tanto lo scatenatore di forze che non controlla, ma l’utilizzatore di tecniche che non capisce.
Che senso ha una vita spesa a imparare a manipolare formalismi che non stiamo capendo? È questa ancora conoscenza? Lo studioso deve limitarsi a usare scatole nere dentro le quali non sa che cosa ci sia? Veramente, basta che funzioni?
Dobbiamo promuovere la formazione iper specialistica di persone che non stanno capendo nulla di quello che sanno utilizzare in modo competente?
La scienza e la tecnica sarebbero veramente solo una magia che funziona?
Allora, come disse Einstein, avrei preferito fare il calzolaio! Se è lecito paragonare le stalle alle stelle.
Quando la scienza e la tecnica diventano quella roba lì, incomprensibile e insensata, allora non posso che concordare con tutte le visioni apocalittiche che diffidano da tutto ciò, meglio l‘Arcadia bucolica!
Scienza e tecnica migliorano enormemente la qualità della nostra vita, ma se perdiamo il senso di farle, possono diventare mostri nelle nostre mani inconsapevoli.
Ditemi voi: scienza e tecnica possono avere ancora un senso, oppure dobbiamo rinunciare e lasciarle ai burocrati dei saperi ritirandoci in buon ordine nella nostra confortante soggettività?