È certo un capolavoro dell’intelligenza umana l’intuizione del giovane Dirac che, per descrivere quantisticamente e relativisticamente il comportamento dell’elettrone libero, occorra introdurre le celebri matrici gamma, che rendono lo spin un fenomeno relativistico.
Oggi però ammiro ancor di più le 800 pagine di Claudio Pavone sulla Resistenza, sempre equilibrate e giustificate.
Quest’opera non è frutto di una geniale intuizione, ma il risultato di una vita. Pavone partecipò alla Resistenza e la studiò per decenni sulle fonti.
La storia è una scienza empirica, molto più della fisica. Occorrono anni in archivio per raccogliere il materiale che giustifica una tesi. Non ci sono esperimenti che confermano o falsificano audaci ipotesi, ma il lento lavoro di accumulo delle evidenze, che porta alla formazione dei concetti generali esplicativi.
Il libro di Pavone non parla né di morale né di politica, ma di moralità. Il grande storico ricostruisce i progetti e le aspirazioni di chi la Resistenza la ha fatta. Ed emergono tre guerre, quella di liberazione contro l’invasore tedesco, quella civile contro i fascisti e quella di classe contro le ingiustizie sociali.
L’ultima per fortuna oggi non è più violenta, ma non è di certo ancora finita.
Nel capitolo sulla violenza Pavone prende le mosse da un passo di Primo Levi: chi aggredisce e chi viene aggredito si trovano nella stessa trappola morale, che porta a incomprensibili violenze, ma è l’aggressore che ha creato quella trappola. E purtroppo solo la violenza può portarci fuori da essa.