Il testo ha suscitato un ampio dibattito, a partire dalla lunga recensione positiva di Gian Antonio Stella sul Corriere della sera, che però, come è nel suo stile, ha ribadito i soliti luoghi comuni sui “baroni”, arrivando alla recente analisi negativa su ROARS – l’importante sito di difesa dei docenti universitari, spesso un po’ corporativo, anche se informato – che invece ha stigmatizzato proprio quei luoghi comuni, difendendo i tanti professori onesti e volonterosi. Il libro è un pamphlet senza particolari pretese, però ha il merito di aver detto con chiarezza, al di là degli stereotipi sul docente auto-referenziale, narcisista e nepotista, che una riforma dell’università non dipende tanto dalle leggi emanate dai Governi, buone o cattive che siano state, sicuramente troppe, quanto dalla mancanza di un clima di collaborazione, di apertura al cambiamento, di attenzione alla società civile, spesso assente dai nostri atenei. Certo le risorse che il nostro Paese dedica alla formazione e alla ricerca sono troppo scarse, e purtroppo per lo più si subordina una formazione solida alle presunte esigenze (talvolta effimere) del mercato del lavoro, tuttavia l’Università avrebbe bisogno prima di tutto di una auto-riforma dei docenti, che dovrebbero smettere di lamentarsi per partito preso, di pensare che la colpa è degli “altri”, guardando invece al futuro con più spirito di iniziativa ed entusiasmo. Il bene primario di qualsiasi sistema sociale è la fiducia. Ed essa non si diffonde certo per decreto, ma tramite le buone pratiche e la cooperazione.
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