Nino Tribulato, avvocato scrittore siciliano, con il romanzo “Memorie della casa terrana” (Tralerighe libri editore) disegna un passato familiare che ha ancora radici contemporanee, raccontando non solo i “fatti” privati, ma il microcosmo di un paese nel quale la vita si fa colore. Una scrittura vibrante e intensa, a tratti appassionati, accompagna il lettore nella Sicilia del 1600 alle porte di un grande evento. Tutto è alla fine pronto per mutare, ma pronto anche a rivivere.
Leggiamo insieme le prime pagine del libro:
«Quando Jacopo Guzzardi nacque nella vecchia casa terrana che dalla collina sfrangiata del Piano della Fiera si affacciava sulla vallata appena socchiusa di San Paolo, la piccola città continuava a vivere nella sua placida e trasognata quotidianità che sembrava non sarebbe finita mai. Nacque all’improvviso di sette mesi in quella casa con le soglie alte e i giardini intensi dove un tempo arrivava silenzioso il vuoto del mare, mentre sua madre, Enrichetta Alessi, tranquilla nei suoi occhi socchiusi e nelle sue ossa lunghe e sode, sapeva che era maschio non dai calci o dai rivoltamenti nel ventre ma dal sapore minerale del cuore.
Enrichetta aveva attraversato la gravidanza con la leggerezza disincantata e la disinvoltura di sempre. Non aveva rinunciato a fare la verticale per guardare meglio cosa facevano i ragni sotto i mobili, e si muoveva nella luminosa varietà della sua insolita natura per continuare a sentire il gusto delle passioni naviganti. Nessuna privazione nella sua vita: che agli altri continuava a mostrarsi disordinata tra le sue bizzarre alternanze. Solo di tanto in tanto restava sorpresa dai tumulti segreti: quando perdeva quota la sua consueta vivacità.
Non si era fermata neanche nel momento in cui, portata in groppa dal drago che dorme sempre sotto i fondali marini, era arrivata un’altra volta quella solita scossa che veniva dal mare tra i banchi di sabbia e le scogliere e aveva il potere di fare cadere i calcinacci e molti frutti dolci, e scuoteva dalle fondamenta anche i ricordi.
Aveva dovuto solo imparare ad equilibrare il peso variabile del corpo: con quegli stessi sforzi svelti che a volte si fanno per risolvere i problemi dell’anima.
Un giorno si era messa a testa in giù e piroettava accanto a un braciere di ottone macerato dal sole e dalla pioggia. Sembrava una di quelle statuette di porcellana sempre in posa che si trovano nelle case delle bambole. Cercava di convincere un essere timido – che per riscaldarsi si era nascosto sotto il braciere – a portare fuori il suo chiacchierio segreto. Gli parlava con il suo tono accattivante e un po’ velato. Nel frattempo muoveva le braccia e con un piumino cercava di aiutarlo a venire fuori. Tentava di fargli capire che le piogge irruente non colpiscono solo gli occhi logorati ma, a caso, anche gli alberi perennemente in fiore.
In quel momento entrò nella stanza la signora della casa accanto, alta e fitta come uno steccato, che con le sue storie lente riusciva a stendere i nervi perfino ai due collerici galli del pollaio.
Vide Enrichetta a testa in giù, tutta rossa in viso, che sembrava voler pulire a fondo anche i cantucci più nascosti. Le rimase annidata negli occhi l’immagine inconsueta di una donna già pesante – eppure ancora inspiegabilmente esile – che aveva la facoltà di equilibrare il peso del corpo e passava da una posizione irreale all’altra, senza mai lasciare capire se avesse trovato quella che le assicurava un minimo di stabilità. Uscì e si sentì spronata a descrivere a tutti i piccoli gridi di gioia che aveva sentito, mentre per la casa vagava l’eccitata sensazione che tutto ciò che si immagina possa diventare reale. Narrò che Enrichetta si agitava a gambe all’aria, muovendo la vita che sapeva di minuscoli fiori gialli e i fianchi colmi che odoravano di paglia marina, e lasciava immaginare pure le isole misteriose che all’improvviso vengono sommerse dal mare.
La notizia delle strane piroette di Enrichetta, e dei suoi piccoli gridi di gioia, si era sparsa rapidamente in giro per la piazza del mercato.
Nessuna meraviglia che a casa Guzzardi, utilizzando le scuse e i pretesti più impensati, si susseguissero le visite di donne paludate in abiti pretenziosi e quelle di uomini dalla fronte decisa che chiedevano con sussiego il permesso di entrare. Nessuna sorpresa che si accumulassero i tentativi di ispezionare anche i più invisibili recessi nei tiepidi muri di arenaria: per affrontare da tutti i lati l’enigma delle reali inclinazioni di Enrichetta, e cercare con discrezione di risolverlo.
Inutile riferire della contraddittoria molteplicità dei punti di vista e delle opinioni. “Estraniamento del corpo dallo spirito”, sbuffava saccentemente qualche giureconsulto.
Alcuni etichettavano quei comportamenti di Enrichetta come mezzucci che utilizzano i poveri di spirito. Quelli che per farsi notare esibiscono le difformità nel fisico e nei comportamenti, perché non riescono a conquistare altrimenti la ribalta: anche se non sono capaci di orientarsi al minimo scarto della biglia dal percorso assegnato.
Solo i veri iniziati non restavano confusi. Soltanto loro intuivano che Enrichetta, malgrado le sue strane piroette, non era un’esibizionista.
La maggior parte, che neanche ammettevano che potessero esistere altri modi di essere e di sentire oltre il loro, oltre il mare che circonda e isola, non facevano alcuna ricerca. Arbitrariamente concludevano che quei comportamenti originali erano soltanto il frutto di una insana passione per la pulizia.
Non consideravano che ci sono quelli che evadono: quelli che passano non solo materialmente il mare e vanno spassionati per la vita.
E così ogni intenzione di Enrichetta era ridotta al rassicurante problema del giornaliero governo della casa. Come se fosse possibile liberarla dalla traccia di polvere smeraldina che si accumula se si lasciano vagare da ogni parte senza controllo tutti i soffi del cuore.
Enrichetta non voleva incrinata la sua reputazione e, per non sentirsi troppo diversa, dava a intendere che quella era l’interpretazione esatta. Quando accoglieva i visitatori dava prova di assoluta compostezza e di diligente conduzione della casa. Continuava a spazzare in maniera attenta, cercando di non fare scoprire la leggera resistenza che metteva quando doveva fare le sue gite sotto i mobili. In questo modo casa Guzzardi, agli occhi inadatti dei visitatori occasionali, dava l’impressione di essere tersa e pulita in ogni angolo più recondito: come il cielo di dicembre appena spazzato dalla tramontana.
Ma non era così.
Nessuna delle confuse impressioni espresse aveva mai raggiunto la vera essenza della casa e l’effettiva indole di Enrichetta, che voleva essere ospite attenta e premurosa.
Chi aveva la predisposizione per saper annusare col cuore, avvertiva subito vicino a lei un pulviscolo impalpabile di altri esseri viventi, che si attaccava alle mani, al viso, ai vestiti: anche al cenno degli occhi.
Chi avesse avuto facoltà di sensitivo, avrebbe avvertito che Enrichetta aveva la magica dote di interagire con tutti i fantasmi dei suoi antenati che fluttuavano e riempivano la vecchia casa terrana che dalla collina sfrangiata del Piano della Fiera si affacciava sulla vallata appena socchiusa di San Paolo.
Ecco perché, quando si lasciava vincere da un chiaro di luna diceva: “E se qualcuno di voi avesse deciso di reincarnarsi in uno degli insetti, dei moscerini, dei topi, dei ragni di casa, anche solo per riprovare per un attimo la pesantezza del corpo? Come posso pensare di distruggerli?”.
Quando la sentivano parlare in quel modo, tutti i fantasmi si muovevano vorticosamente, in un’atmosfera che imitava straordinariamente bene il volo degli uccelli: perché sapevano che con Enrichetta avevano la possibilità di abbandonare, se volevano, i loro giochi solitari.
Ecco perché lei lasciava che la casa continuasse a pullulare di tutte le specie possibili di esseri viventi, anche se il suo prozio don Consalvo Alessi Butera – che era vissuto circa due secoli prima – fluttuando a tre metri d’altezza le diceva: “Ma che dici. Noi reincarnarci dopo che finalmente abbiamo riacquistato la leggerezza e il dono dell’ubiquità; la capacità di dormire a scelta nel bosco, sulle acque o dentro i tuoi occhi?”.»
Memorie della casa terrana
di Nino Tribulato
Tralerighe libri editore
Collana Il Borgo Racconta 4
ISBN 9788832872439
Euro 22,00
Pagine 412
Nino Tribulato (1947) è nato e vive a Lentini dove svolge la professione di avvocato. Memorie della casa terrana è il suo romanzo di esordio ed ha ricevuto la menzione speciale della giuria del Premio Letterario Il Borgo Italiano 2022 – Borgo di Lanzo Torinese.
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