Letteratura e alpinismo
“Voglio parlare
solo con i silenzi,
con il mutato
ritmo del mio respiro,
con una voce roca.”
(C. Tugnoli, Homo viator)
La montagna, da sempre, è un luogo letterario: la si trova citata spesso nella Bibbia, nella letteratura greca e romana, la si incontra poi nell’opera del grande scrittore Francesco Petrarca con l’ascesa al Monte Ventoso. Ma il genere di montagna vero e proprio nasce nell’Ottocento, epoca dell’Illuminismo, affermandosi di pari passo con il concetto di alpinismo moderno, dove le montagne, anziché essere considerate ostacolo od impedimento al procedere, vengono viste come possibili mete da raggiungere e conquistare. I primi libri di montagna nascono quali descrizioni di esperienze di viaggio nella natura selvaggia, raccolte in forma diaristica da parte degli alpinisti stessi che provenivano principalmente dall’Inghilterra e dall’Europa del nord. In queste opere si raccontano con precisione e coinvolgimento le prime grandi scalate delle vette alpine, in seguito di quelle sudamericane ed asiatiche.
La visione dell’alpinismo come conoscenza da un lato e come conquista dall’altro appare fondamentale e rilevante per quanto riguarda il periodo della prima ascesa al Monte Bianco e al Cervino. Da questo momento si svilupperanno due filoni di narrativa di montagna: da un lato troviamo infatti i racconti in prima persona delle imprese alpinistiche, dove il lettore, anch’egli perlopiù un appassionato di montagna, si immedesima nelle vicende e rivive quei momenti attraverso la voce del narratore; dall’altro lato si assiste ad una produzione letteraria di fantasia, adatta ad un pubblico più vasto. Il primo filone è contraddistinto dalle opere di Whymper con La salita del Cervino, di Bonatti con Una vita libera, di Simone Moro con La voce del ghiaccio, di Jon Krakauer con Aria sottile, di Messner con La montagna nuda, di Buhl con È buio sul ghiacciaio e di Daniele Nardi con La via perfetta. Alla seconda corrente vediamo invece appartenere i romanzi di Dino Buzzati con Il segreto del bosco vecchio, di Mario Rigoni Stern con Il sergente nella neve, di Mauro Corona con Gli occhi del bosco, La voce degli uomini freddi, solo per citarne alcuni. L’idea come pure la pratica dell’ascesa, dello scalare una montagna, spinge l’uomo verso l’alto, verso una forma di conoscenza, che lo porta ad uscire da sé nel tentativo di superare i propri limiti, per aspirare ad un oltre, affermando sé stesso, ampliando la propria visione e comprensione del mondo.
L’esploratore verticale
“Voglio credere
di poter camminare
nel buio fitto,
sull’acqua insidiosa,
lungo il precipizio.”
(C. Tugnoli, Homo viator)
L’alpinismo apre ad una dimensione umana caratterizzata da un forte desiderio conoscitivo ed esplorativo, ma al contempo anche ludica, piacevole, di illimitata libertà e ricerca di sé stessi, dove il sé creativo, inteso come capacità di scoprire nuove possibilità e di trovare nuove soluzioni, trova espressione. L’alpinismo come sinonimo anche di tensione verso un fine, una meta che restituisca un senso all’esistenza umana, dove l’uomo viator diviene conoscitore del mondo e protagonista attivo del proprio destino. Alpinista è colui che è spinto verso la scoperta, l’esplorazione verticale, sia in senso geografico che personale ed introspettivo; egli è definito in quanto tale dalla passione e dal grado di coinvolgimento che lo anima nel rapporto con la montagna, dalla libertà dai condizionamenti sociali ed economici; è inoltre nutrito da sogni, illusioni e continue tensioni e ideazioni. L’alpinista è una persona innamorata, accesa di un desiderio mai pago, fatto anche di ansia ed attesa, di rischio, fatica, prove, incertezze. Le sue grandi doti sono la fiducia, il coraggio, mossi da un’inesauribile creatività ed originalità, che gli permettono di compiere le sue avventure, quel processo del perdersi per poi ritrovarsi, abbracciando sempre nuovi progetti e incognite, al fine di creare un nuovo senso, nuovi mondi, nuovi tracciati. Presupposti di questa maniera d’essere rimangono la perseveranza e la fiducia nel coltivare e credere fino in fondo ai propri sogni. Riporto una famosa citazione di Simone Moro a questo proposito: “Quando mi chiedono ‘Chi te lo fa fare di scalare’ io rispondo sempre che è come chiedere ‘Chi te lo fa fare di amare’. L’amore è irrazionale, non c’è mai una convenienza dietro l’amore. L’amore è una pulsione irrefrenabile.”
“Natura, arte e scalata” attraverso le parole di tre grandi personalità
Nell’opera di Lia e Marianna Beltrami Zanzara e Labbradoro si racconta e rivisita la vita del grande arrampicatore e tracciatore Roberto Bassi (1961-94) che fu anche primo campione di arrampicata sportiva in Italia e scopritore delle falesie della Valle del Sarca e del Lago di Garda. Grazie anche a lui si deve la nascita del free climbing in Italia, inteso non soltanto come disciplina sportiva, ma pure come stile di vita. Roberto fu un grande sognatore e visionario, dotato di una immensa tenacia e determinazione, introverso, silenzioso e disciplinato. Ecco come nell’opera viene descritta l’arte della scalata, un fondersi di doti tecniche, artistiche e umane: “L’armonia dei movimenti porta il corpo in una sorta di estasi ascensionale che lascia un senso di piena autonomia e, improbabile, è rimanere insensibili a quel fascino verticale che porta in alto senza compromessi, adattato ai segreti della roccia, continuamente intrigati nella costante ricerca della possibile leggerezza, del gusto di sorprendersi liberi nei movimenti e nella fantasia.” E ancora, un interessante ed affascinante paragone tra arte poetica e scalata: “La poesia fa parte dell’arrampicata, che potrebbe essere definita ‘l’arte del movimento sulla roccia’. È un modo di mettere in contatto la mente con il corpo, il corpo con l’anima, e l’anima con l’infinito. Un tutt’uno che si muove e danza con equilibrio sui precipizi della vita.”
Nell’opera Arrampicare. Una storia di rocce, di sfide e d’amore di Mauro Corona, grandissimo e prolifico scrittore, scultore e scalatore, l’autore ci restituisce il senso della montagna, paragonando l’atto creativo dell’arrampicata a quello artistico e letterario: “L’arte ha molte facce. Perché scrivere, scalare, scolpire sono la stessa cosa. Cambiano i materiali: roccia, legno, carta, inchiostro. Ma in tutte le arti, devi prima avere un’idea. Quella montagna. Quella scultura. Quella pagina.” E ancora un confronto tra natura e scrittura, dove è la montagna stessa a rivelarsi, ponendosi come libro da decifrare: “La montagna, per chi la pratica, ma anche semplicemente per chi ci cammina, è un libro. Se non capisci la sua lingua, se lasci che ti rimanga straniera, sei perduto.”
Il famoso ambientalista, botanico, nonché viaggiatore, esploratore e scalatore dell’Ottocento John Muir (1838-1914), di origine scozzese, ci restituisce nella sua opera altamente lirica ed intensa Le montagne mi chiamano. Meditazioni sulla natura selvaggia, l’incontro con l’ambiente selvaggio ed incontaminato del grande continente americano, dopo che si trasferì nel Wisconsin con la famiglia: paesaggio di una tale e folgorante bellezza e magnificenza, che ne venne letteralmente stregato e rapito. Egli fu un conservazionista dei luoghi selvaggi e il fondatore del più antico movimento ambientalista, il Sierra Club. Attraverso le seguenti citazioni l’autore ci svela il suo bisogno irrefrenabile di avvicinarsi al mondo naturale, bisogno di esplorazione e di ricerca di senso, della verità del vivere: “Quante meraviglie giacciono in ogni giorno di montagna!…È un posto magnifico in cui banchettare, se solo si è abbastanza poveri. Si viene rapidamente assorbiti nei valori spirituali delle cose. Il corpo svanisce e l’anima liberata se ne va.” E ancora: “Venite nei boschi perché qui c’è il riposo…Qui dormirete dimenticando ogni male. Di tutte le altezze accessibili ai mortali, non c’è altezza paragonabile a quella dei monti.” Qui descrive ciò che lui intende per vero viaggio: “Solo viaggiando da soli, in silenzio e senza bagagli, si può davvero entrare nel cuore della natura selvaggia. Tutti gli altri viaggi sono solo polvere, alberghi, bagagli e chiacchiere.” Si rivolge ora ad un interlocutore, probabilmente una figura femminile, certo di essere profondamente compreso ed accettato per quello che è e per la propria scelta di vita: “Sono sicuro che se tu fossi qui e vedessi quanto io sia felice e quanto ardentemente stia cercando di conoscere queste rocce, mi lasceresti andare solo con Dio e le sue rocce scritte per guidarmi. Non mi chiederesti di tornare per costruire delle macchine, o una casa, o per accapigliarmi contro altre menti.”
“Crepe e fessure
davanzali sul nulla
vie di fuga
da chi ti fa vivere
solo per ucciderti.”
(C. Tugnoli, Homo viator)
Bibliografia
Lia e Marianna Beltrami, Zanzara e Labbradoro. Roberto Bassi e la nascita del free climbing in Valle del Sarca, Versante Sud, 2015
Enrico Camanni, La letteratura dell’alpinismo, Zanichelli, 1985
Mauro Corona, Arrampicare. Una storia di rocce, di sfide e d’amore, Solferino, 2022
Gilberto Isella, La montagna nella prosa letteraria italiana del tardo Ottocento e del Novecento, edizionicenobio .com, 2007
Simone Moro, A ogni passo, Rizzoli, 2021
John Muir, Le montagne mi chiamano, Piano B edizioni, 2022
Claudio Tugnoli, Homo viator. Tanka del viandante, Edizioni del Faro, 2022
Giuseppe Saglio, Cinzia Zola, In su e in sé. Alpinismo e Psicologia, Priuli & Verlucca, 2007
Filippo Zolizzi, Esiste una letteratura di montagna?, Alpinic .net, Cose di Montagna