- Parlaci della tua formazione e carriera musicale:
Ho avuto la fortuna di nascere in un ambiente musicale, in quanto mio padre era fisarmonicista, nonostante tale strumento non fosse ancora riconosciuto al Conservatorio. Aveva una scuola con molti allievi; in casa mia, si suonava sempre: è stato semplice associarmi. Nonostante la mia propensione per la musica, però, i miei hanno voluto che conseguissi il diploma di ragioneria. Dopo averli accontentati ho, invece, deciso di iniziare studi musicali professionali, iscrivendomi all’Istituto Pareggiato “Boccherini” di Lucca nella classe di Composizione del Maestro Pietro Rigacci, la cui sorella, Susanna, è artista (soprano) internazionale ed il cui padre, Bruno, è stato un direttore di orchestra scomparso recentemente. Il diploma di musica corale, l’ho ottenuto poi a Firenze, nel 1988. Il mio interesse per la musica è stato sempre e soprattutto per il canto e, a mia memoria, ho sempre cantato: sin da bambino. Spesso, presso le suore (scuola elementare), una di loro mi metteva davanti alla statua della Madonna (in chiesa) e mi diceva: “Ora canta!”. Ma il canto ha sempre suscitato il mio interesse, soprattutto, per il repertorio corale per cui sono diventato, appunto, maestro di coro. L’approccio con il canto lirico l’ho avuto più tardi, oltre i vent’anni, quando ho cominciato a studiare con il mezzosoprano Claudia Foti, una cantante che si è esibita come comprimaria nei principali teatri accanto ai più celebri cantanti a livello internazionale. Al Festival Pucciniano di “Torre del Lago”, celebre in quanto vi è la casa di Giacomo Puccini, si trova un palco in riva al lago, molto suggestivo, poiché è il luogo dove Puccini ha composto le sue musiche. È stato il mio esordio, nella misura in cui abitavo a Massa (30 km), in Versilia. Cantavo sotto le stelle queste musiche meravigliose: prima pensavo si potessero sentire solo nei dischi ed il fatto di trovarmi in prima persona sul palcoscenico è stata un’emozione grandissima che mai dimenticherò. Mi sono fatto conoscere, con una piccola parte solistica, nell’opera “La Rondine” e il maestro Tullio Boni, grandissimo direttore del coro, mi ha chiamato, proponendomi di recarmi a Genova, per cantare “Turandot”. Sono rimasto due anni nel capoluogo ligure (1988/1990). In seguito, ho fatto altre audizioni, ottenendo un buon risultato, a Firenze: un concorso in cui mi hanno steso un contratto per un anno. Abitavo nel pieno centro storico, stavo benissimo, ma la mia meta era Roma: il “non plus ultra”. Non sapevo che esistesse il coro della Cappella Sistina e questo (1990/1991) è stato il luogo in cui sono stato assunto definitivamente e che continuo ad occupare attualmente. Il coro denominato “Cappella Musicale Pontificia (Sistina)” presta servizio durante le cerimonie papali; in qualche occasione, si canta anche dentro la “Cappella Sistina” essendo un luogo sacro, a tutti gli effetti. Da quando sono entrato nella Cappella, ho potuto conoscere e affinare il repertorio del canto gregoriano che sta alla base di tutta la musica occidentale. Questo coro piace al pubblico, in quanto è una realtà ancestrale, di sole voci maschili: non per escludere le voci femminili, ma perché, fino al Settecento, le donne non erano ammesse a cantare. In conseguenza di ciò i compositori scrivevano concependo musiche per voci maschili. Il coro di “Westminster” e quello del Duomo di Colonia (Germania) sono una testimonianza della stessa prassi, solo per citare due esempi tra i più famosi. Il repertorio gregoriano si impara “sul posto” e questo è stato un arricchimento enorme: lo stesso dicasi per la polifonia classica del Cinquecento (Giovanni Pierluigi da Palestrina, denominato “il principe della musica”): musica perfetta e precisa dal punto di vista testuale. È un’interpretazione che ho imparato, stando sul coro.
- Riguardo alla pittura?
Parallelamente alla passione per la musica, nata in un ambiente che mi ha predisposto, sono sempre stato dotato per il disegno: il mio professore mi elogiava. Ho disegnato anche la “Pietà” di Michelangelo (di Firenze) ma soltanto nel 2000, ho cominciato a dipingere. Una mia amica a Massa (mentre mi trovavo a Roma) mi dava dei consigli pratici: mi sono appassionato al Manierismo fiorentino che, dopo Michelangelo e Raffaello, indica un’arte “alla maniera di”. Andrea del Sarto, Pontormo e Bronzino sono i massimi rappresentanti di questa corrente artistica e la cosa interessante, è che ognuno è stato maestro dell’altro, ma ciascuno di loro ha sviluppato personalità autonome. Ho iniziato, a mia volta, a copiare un ritratto di Pontormo (un personaggio dei Medici). Mi è sempre piaciuto riprodurre. Fare qualcosa di “proprio” mi risultava difficile. Ho poi realizzato in seguito dei ritratti di mia moglie e dei miei figli. Un’altra corrente che mi ha sempre interessato è quella dei “Macchiaioli”: trovo commoventi questi quadri, scene di vita dell’Italia dell’Ottocento, risorgimentale.
- Parlaci della tua produzione letteraria
Il primo libro (“Ogni giorno alle quattro piove”, Cavinato Editore International, 2016) è il più importante: mi sono accorto che ero venuto a contatto con varie realtà e ho sentito il bisogno di ripercorrere le tappe passate. L’ho definita una biografia “geografica, più che personale”. Il titolo è “Ogni giorno, alle quattro piove” e dunque quando pioveva mi sono messo a scrivere della mia vita professionale e delle atmosfere che ho vissuto. Questo è stato il primo input, seguito da un secondo: scrivere racconti, cercando qualcosa di più autonomo. “Anche i fiammiferi costano” (Alter Ego, collana Scatole parlanti, 2018) è il mio secondo libro, una raccolta di racconti di genere diversi e che si conclude con “Le storie di Guidoriccio”, una novella sulla storia dell’arte che prende lo spunto dal celebre affresco di Simone Martini conservato nel Palazzo Pubblico di Siena. Si tratta di un cavaliere che monta un cavallo riccamente decorato sullo sfondo di rocche medievali ed è molto importante, dal punto di vista della storia dell’arte. Lo spunto per un racconto “fantastico” me lo ha dato il fatto che nel 2017 il “Palio di Siena” fu vinto dalla contrada della “Lupa” che non lo vinceva da più di vent’anni; il fatto ancora più curioso è che vinse sia a luglio che ad agosto. In seguito al gran clamore suscitato da questo evento, ho dunque immaginato che ciò svegliasse questo cavaliere, che scende dall’affresco e si reca in Piazza del Campo, senza che nessuno se ne accorga. L’ho fatto “calare” nella realtà. Così, nel terzo libro (“Un sorriso imbarazzante”, Antonio Stango Editore, 2020), ho deciso di seguitare con questo schema ed ho scelto altre quattro opere d’arte di epoche diverse (Etruria, Rinascimento, Barocco, Contemporaneo) per inventare altre storie surreali. Il titolo è “Un sorriso imbarazzante”, con riferimento all’ “Apollo di Veio”, statua con un sorriso enigmatico. Questo libro è uscito in piena pandemia: sono riuscito a realizzare solo 2 presentazioni.
Di tutte le mie fatiche letterarie, reputo quest’ultima la più matura.
- Tra le arti che coltivi, in quale ti trovi più rispecchiato? E riguardo ai tuoi progetti futuri?
Posso dire tranquillamente che il mio interesse rimane per tutte e tre le forme d’arte, ma la musica, essendo il mio mestiere è indubbiamente quella a cui mi dedico maggiormente. Ognuno di noi, quando canta, è un “mondo”, ogni voce è diversa dall’altra e questo continua ad affascinarmi tantissimo.
Per quanto riguarda i miei progetti futuri, ho in cantiere un libro fotografico su Roma, in occasione dei miei trent’anni di permanenza. Nel cassetto poi ho da qualche anno un romanzo , un opera di dimensioni più grandi , un’ opera quindi impegnativa, che non escludo che prima o poi possa venire alla luce.
Stefano Chiesa
Bella intervista,bella narrazione,scorrevole,leggera
Bella intervista, bel racconto di vita semplice e ricchissima di interessi,di curiosità e di tanto entusiasmo,testimonianza di tempi in cui l’umanità sovrastava tutto
Bell’intervista ad un artista nato con il talento che ha saputo coltivare e diversificare. Buon proseguimento
Interessante intervista ricca di spunti di riflessione e di scoperta di mondi interiori fecondi di altre vite