Paolina Leopardi. Nel migliore dei casi la si ricorda come la copista assennata delle poesie del fratello. Nel peggiore dei casi non la si ricorda affatto, se non come generica destinataria della canzone Nelle nozze della sorella Paolina.
In entrambi i casi, quello che ne viene fuori non è nemmeno un ritratto ma, piuttosto, uno schizzo di donna. Una donna che si fa quasi fatica a immaginare come tale. Un ologramma, una comparsa, nient’altro che la «sorella di».
Eppure, questo schizzo approssimativo che la memoria scolastica riserva a Paolina, non le rende alcuna giustizia. Non rende giustizia a questa Donna arguta e brillante che, all’interno dei suoi scritti, non ha paura di dare voce alla sua anima in fiamme e di lasciarla divampare.
Una Donna labirintica e appassionata che, in termini di intelligenza e cultura, non aveva nulla da invidiare a Giacomo. Al suo celebre e amatissimo fratello maggiore.
Infanzia di Paolina Leopardi – Gli anni dei «pulcetti» e delle «sudate carte»
All’anagrafe Paolina Francesca Saveria Palcida Blancina Adelaide Leopardi. Per i fratelli ‘Pilla’. Talvolta, nei giochi d’infanzia, ‘Don Paolo’, per via dei capelli cortissimi e delle vesti scure che la madre Adelaide la obbligava a portare.
Unica femmina di dodici figli, Paolina nasce a Recanati, remota e (come la definirà) «abbominevole» provincia dello stato della Chiesa. Come lei stessa racconta a Marianna Brighenti, sua principale corrispondente nonché migliore amica, viene alla luce all’alba dell’800, due mesi prima del previsto:
Mia madre non fece tempo a sacrificare alle grazie prima di partorirmi; gravida di 7 mesi cadde dalle scale. Io mi affrettai tosto di uscire fuori per godere di questo bel mondo di cui ora mi affretterei a uscire, se potessi.
(Lettera a Marianna Brighenti, settembre 1831)
Come pure i fratelli, la terzogenita di casa Leopardi muove i primi passi stando già attenta a dove mette i piedi, imparando a destreggiarsi sulla rigida scacchiera delle regole di ‘Mamà’.
Adelaide Antici, donna gelida e inflessibile. Non proprio un angelo del focolare. Piuttosto un guardiano onnipresente e inflessibile, a giudicare dalle parole della ragazza (nei suoi scritti ne parla come di «una persona ultra-rigorista», come di «un vero eccesso di perfezione cristiana” che “gira per tutta la casa, per tutte le ore»). È Adelaide, questa donna così piena di carità cristiana e così povera di carezze, a tenere le redini dell’economia domestica.
Della scolarizzazione dei ragazzi si occupa invece papà Monaldo, studioso e bibliofilo. A cui va riconosciuto il merito di aver fatto studiare Paolina allo stesso modo dei fratelli. Le lettere antiche, i grandi romanzi francesi, i testi biblici e molto alto ancora.
È grazie a Monaldo (e a don Sebastiano Sanchini che le fa da precettore) che l’«erudita signorina», come la chiama Giacomo, potrà vantare un grado di istruzione superiore a quattro quinti delle sue coetanee.
Sin da piccolissima, Paolina si distingue per un amore quasi morboso per i libri (nella sua lista personale ne figurano ben 2043) e per un’indole brillante e curiosa. Col permesso del padre, silenziosa e partecipe, assiste agli incontri dell’Accademia che si svolgono nel palazzo.
A dodici anni s’improvvisa assistente di Giacomo e sua copista. Ricopiando in bella copia le «sudate carte» del fratello con i caratteri minuti e salterini che il fratello Pier Francesco ribattezzerà affettuosamente i «pulcetti».
Ma lo studium, il cui primo significato è ‘passione’, ha, come si sa, la colpa e il merito di accendere desideri pericolosi in coloro che lo perseguono. È così che a Paolina, a questa ragazzina dalla «sensibilità quasi morbosa», a questo brutto anatroccolo consapevole di essere tale, spuntano delle enormi ali.
Il che sarebbe assolutamente un bene, se solo le fosse dato il permesso di volare.
Giovinezza e adolescenza di Paolina – La figlia geniale rinchiusa nella gabbia d’oro di palazzo Recanati
Io ho da mangiare quanto voglio, da dormire quanto voglio, posso lavorare e non lavorare se mi piace: non sono innumerabili quelli che si chiamerebbero felicissimi se potessero fare questa mia vita? Dunque sono io che non mi contento mai, che ho dei desideri insaziabili (…) che fanno l’infelicità mia e l’altrui.
(Lettera a Anna Brighenti, aprile 1832)
Nonostante l’istruzione impeccabile che le viene garantita, Paolina, che ha la sfortuna di essere nata donna, paga un prezzo molto più caro dei fratelli in termini di isolamento sociale.
Dapprima, dal senso di soffocamento della ‘cattività recanatese’, la salva la presenza di Giacomo. Come le lettere che si scambiano tra il 1822 e il 1835 permettono di documentare, i fratelli furono legati per tutta la vita da un tenero affetto. A Giacomo, suo coetaneo, Paolina fu vicina in termini emotivi e pratici. Quando il ragazzo è tormentato dal dolore agli occhi, è lei ad assisterlo al buio. Fantasticando insieme a lui sulle chimeriche incognite del «mondo di fuori» che è loro precluso.
Solo che Giacomo, a un certo punto, dalle stanze piene di libri della prigione di casa Leopardi riesce ad evadere. Paolina no. A lei è permesso a malapena di uscire in cortile.
È allora che, con Vergellone, il fratello diventa «il filo» che collega la ragazza «al grande mondo esterno un tempo vagheggiato insieme». E, secondo sua madre, tanto dovrebbe bastarle. Infatti, oltre ad imporle la reclusione, Adelaide le impone anche il divieto di scambiare lettere con persone diverse dai familiari più stretti.
L’epistolario segreto di Paolina Leopardi – Pane, amore, fantasia e…un’insaziabile fame del mondo
Ma Paolina, così come la capinera verghiana, non si nutre solo di sonno e «miche di pane». È della vita che ha fame. Quella vita che la sua famiglia inflessibile e rigorista ha voluto precluderle. Per questo disobbedisce all’imposizione materna. Con la complicità di don Sanchini, il suo vecchio tutore, mette a punto un piano segreto fatto di incontri notturni e vasi di fiori che vengono spostati per comunicare l’arrivo delle lettere.
Lettere dai destinatari più disparati, le 467 che finiscono col comporre l’Epistolario di Paolina di cui Elisabetta Benucci ha recentemente curato la pubblicazione. Tra i destinatari più assidui, una menzione speciale va sicuramente a Vittoria Lazzari di Pesaro (a cui la ragazza invia 71 lettere) e alle sorelle Marianna e Anna Brighenti (a cui ne invia ben 171, senza mai averle incontrate di persona). Donne diverse ma, a modo loro, tutte donne libere. Libere di prendere parte alle gioie e ai dolori di una vita sociale per lei ‘troppo sconveniente’.
Libere di viaggiare e di vedere il mondo. Quel mondo che Paolina non sa nemmeno cos’è ma di cui, grazie ai racconti minuziosi che si fa fare, può farsi un’idea, seppure approssimativa.
E a loro, con arguzia e dignità, Paolina si racconta tutta intera. Fiumi di parole in cui racconta la sua solitudine e la sua voglia di vivere, insieme alla maledizione più grande: quella d’essere nata una donna con le ali («non siamo nate soltanto per quello cui ci credono destinate gli uomini» scriverà a Antonietta Tommasini Ferroni).
Perché, anche se Giacomo la definirà una donna «travagliata dalla (…) immaginazione», Paolina non si contenterà mai della finzione letteraria che pure, nella sua vita, ha un immenso spazio.
Infatti, tra una corrispondenza segreta e l’altra, la ragazza continua la sua infaticabile attività di intellettuale. Acquisisce una padronanza madrelingua del francese, lingua da lei prediletta. Legge libri e li traduce con una accuratezza tale che alcuni vengono addirittura pubblicati.
Inoltre, oltre a collaborare con diverse gazzette e riviste (tra cui le gazzette di Milano, Genova e Modena), diventa redattrice e collaboratrice de La voce della ragione, la rivista paterna.
Epilogo della vita di Paolina Leopardi – Finalmente la libertà
Le trattative per maritare Paolina furono tanto numerose, quanto tristemente note. Infatti, ogni volta per un motivo diverso, nessuna di esse riuscì mai ad andare in porto. Dapprima con speranza e poi con crescente disillusione, la ragazza assiste a tali trattative in disparte.
Interessata, più che al matrimonio in sé, alla ridente possibilità di evasione che all’eventualità del matrimonio si accompagna. Eventualità che nel 1832, a trentadue anni, le sembra ormai lontanissima.
Nel luglio di quell’anno, infatti, Paolina confessa a Marianna una «diabolica idea». Quella di accettare la avances di un giovane di basso rango pur di evadere dal carcere domestico.
Cosa che, in realtà, Paolina farà solo nel 1857, l’anno della grande svolta.
L’anno in cui la tirannica Adelaide muore e i cancelli di casa Leopardi si aprono. Paolina, all’età di 57 anni, è finalmente una donna libera. Libera di visitare in prima persona quel mondo che per tanti anni si è fatta raccontare dagli altri e che adesso, in prima persona, visiterà.
Ma non prima di arredare con gusto la casa di cui assume in prima persona le redini. Non prima di riempire la biblioteca dei libri «moderni» che tanto adora. Non prima acquistare le vesti e le pellicce colorate di cui, dopo tanti anni in cui è stata costretta a vestirsi di nero, può finalmente riempire il proprio baule.
Poi, finalmente, la partenza. Paolina visita tutti i luoghi dei racconti dei suoi cari e, quasi fossero mappe del tesoro, ne segue le orme. Reggio Emilia, Parma, Napoli e Bari non sono che alcune delle sue destinazioni. Poi l’ultima, Pisa. Dove Paolina si spegne a causa di un raffreddore che degenera in broncopolmonite ma, dobbiamo immaginare, con il sorriso sulle labbra.
Quello di una donna che, prima di morire, anche se per poco, ha potuto conoscere una cosa che tanti muoiono prima di conoscere: il sapore della libertà.
Bravissima questa reporter! Stupendo ed interessante articolo su una figura di straordinario valore che, sia in vita che dopo morte, non è stata riconosciuta per il suo valore. E se è vero che dietro ad un grande uomo c’è sempre una grande donna, in questo caso questa non può che essere la dolce Paolina, la “Pilla” con cui veniva vezzeggiata dai fratelli già ai tempi dell’infanzia, tra cui il suo più caro, Giacomo.