Perché il concetto di “coscienza” viene messo radicalmente sotto scacco, dalle parole “sogno” e “inconscio”?
Il presente articolo si pone, come obiettivo, una lettura critica ed individuazione dell’universo onirico, mediante due capolavori, di Freud (L’interpretazione dei sogni) e Matte Blanco (L’inconscio come insiemi infiniti)
Sigmund Freud (1856-1939) dà vita alla psicanalisi con L’interpretazione dei sogni che si colloca, cronologicamente, al crocevia tra XIX e XX Secolo (1901). Capolavoro della letteratura di sempre, dà, al sogno, plurime letture. Freud ha concepito più scuole ed è stato seguito da allievi profondamente diversi, ma davvero straordinari: Jung (1875-1961), Adler (1870-1937), Lacan (1901-81), Lévinas (1906-1995).
Parallelamente, uno psicanalista sudamericano, di nome Ignacio Matte Blanco (1908-1995), ha proposto un “modello” di inconscio alternativo a quello di Freud.
Occorre capire Freud, prima di Blanco; per poi comprendere come le due spiegazioni, lungi dall’essere contraddittorie, siano complementari.
Per Freud, “inconscio” è letteralmente la “negazione di ciò che è cosciente”: come una “voce” che ognuno di noi sente; la parte più recondita, che viene accantonata dalla nostra mente, per via dei (suoi) contenuti “penosi ed inaccettabili”, come direbbe lo stesso padre della psicanalisi. Tali contenuti angoscianti ci appaiono nella realtà onirica, e si palesano secondo una credibilità sconvolgente.
Per ciò che è oggetto di sogno, viene operata una distinzione netta tra “latente” e “manifesto”. Risulta evidente l’anfibolia, tra ciò che rimane “nascosto” e ciò che resta, anche se “in superficie”.
In questo rispetto, come già risposto alla “domanda” di apertura:
L’“in-conscio” destabilizza in quanto coinvolge, in modo quasi totalizzante, la parte “conscia” (la quale, spesso, teme di esprimersi, per delle resistenze di varia natura).
L’approccio di Blanco (ne L’inconscio come insiemi infiniti), invece, consiste nell’analizzare l’universo onirico alla luce di parametri scientifico–matematici (ricorrendo anche all’insiemistica di Venn). Ad esempio: all’interno delle leggi che normano l’inconscio, considerare il “tutto” alla stessa maniera della “parte”: ciò suscita contraddizione. Dal canto di Freud, sarebbe stato impensabile connotare (o denotare) i caratteri dell’inconscio secondo queste modalità.
Interviene, allora, Blanco con la sua “bi-logica”: una “seconda logica”, che si accosta alla precedente, senza purtuttavia volerla escludere. In altri termini: mentre buona parte di Freud rimane fedele alla “non-contraddizione” di Aristotele (“lo stesso non può essere altro”), Blanco elabora una nozione di inconscio del tutto innovativa. Blanco può violare, con la sua logica, anche Aristotele.
Le conseguenze, in termini di echi nella storia della Filosofia, sono notevoli: Blanco riesce ad essere tanto visionario, da immaginare situazioni paradossali e parossistiche (svariate immagini in sovrimpressione, oggetti che si sovrappongono, ubiquità, spazio a “N dimensioni”).
Tutto ciò è più che mai importante in quanto, nella veglia, tendiamo a trascurare taluni elementi che si sedimentano nel nostro inconscio, il quale li fa riemergere in superficie.
Mentre Freud, in merito al sogno, espone tesi differenti, ricorrendo ad un lessico psicanalitico (ma non matematico), Blanco ci dice che la sua bi-logica consiste nell’impiego della matematica, che regola le leggi delle situazioni descritte, in modo ferreo.
Ma le due tesi (freudiana e matteblanchiana) non sono incompatibili, bensì complementari, in quanto possono essere viste una (la prima) come l’incipit, condizione di possibilità della seconda. Non si può offrire la possibilità della negazione (bi-logica) se non si “pone”, ed “espone”, prima, l’oggetto di discussione (principio di non contraddizione). Siamo in presenza di una logica inclusiva, che vede la luce attraverso il cospicuo contributo del sudamericano.
Ecco come, in ultima analisi, la matematica astratta possa suscitare fascinazione: soprattutto negli ambiti meno “sondati”…
Stefano Chiesa