“Ne successero di cose a me, alla mia famiglia, al mio Paese e al resto del mondo. Ma il resto del mondo non mi interessava ancora”
L’Albania del primo Novecento è un paese misterioso, magico e caotico. Un luogo dove gli opposti convivono da sempre: cristianesimo e Islam, tradizioni risalenti all’Impero bizantino, come anche a quello Ottomano. L’Albania è, soprattutto, una società fortemente matriarcale, in cui per il potere che si acquisisce diventando suocere le donne passano la vita aspettando con gioia di invecchiare.
Meliha, una donna forte capace di seguire i vivi e i morti con lo stesso trasporto. Lei è il cuore della famiglia Buronja all’inizio di questa storia. Tramanderà questa forza a sua figlia Saba, costretta a un matrimonio appena quindicenne, con un uomo che non ama, già vedovo di sua sorella e legato alla sua famiglia da un debito di sangue.
Saba, come l’intero popolo albanese, saranno tantissime le prove che attraverserà con disperata energia: i figli, la guerra, lo sterminio dei fratelli, fino alla transizione a una nuova era, il comunismo.
Tutta la seconda parte del libro è raccontata dal punto di vista della nipote di Saba, Dora. Nata durante il comunismo e vissuta durante la caduta del regime, descrive con onestà e durezza quello che era l’Albania e il popolo albanese in quegli anni difficili.
Una frase mi è rimasta nel cuore: “ogni sasso pesa al suo posto e io voglio sentire il mio peso sopra questa terra”.