“Sono un ragazzo di ventidue anni, che a volte si comporta come immagina facciano gli uomini, potrei chiamarmi Anton o Adam o Gideon, il nome che di volta in volta suona meglio, e sono francese o tedesco o greco, ma albanese mai, e cammino esattamente come mi ha insegnato mio padre, a passi larghi e cadenzati, so bene come tenere alti petto e spalle, la mascella serrata a garantire che nessuno invada il mio territorio. E in momenti come questo la donna che è in me arde sul rogo”.
Comincia così “Le Transizioni”, un libro scoperto per caso, che mi ha riportato indietro negli anni più bui dell’Albania, quando alla fine del regime comunista, un popolo isolato per 40 anni si è trovato allo sbando totale.
Le transizioni ha la stessa forza di un pugno nello stomaco, dalla prima riga all’ultima. Il protagonista è Bujar, un personaggio camaleontico, che cambia nazionalità, nome e sesso in base al paese in cui sta girovagando. Bujar racconta la sua vita senza nasconderne gli aspetti più duri e senza mai perdere di vista il punto fondamentale: l’identità. Identità di genere, ma anche di lingua, di confini, di famiglia. Bujar è un personaggio in continua transizione.
La storia è raccontata in prima persona, in un succedersi di salti temporali, che ci portano agli anni d’infanzia del protagonista, in Albania, 1990/91, gli anni di Ramiz Alia, gli anni del disordine totale, quando “la puzza dell’Albania era arrivata a tutti gli albanesi” e scappava sognando di raggiungere quell’Europa che per anni gli era stata negata. Poi si torna al presente, inizi 2000 e al suo girovagare per il mondo, cambiando pelle, identità, storia, alla ricerca costante di se stesso e della sua pace. Pace che non troverà nemmeno nella sua ultima tappa, in Finlandia. Un viaggio attraverso Roma, Berlino, Madrid, New York, Helsinki, un viaggio che lo riporterà al punto di partenza,Tirana. Un romanzo che affronta in modo crudo sia l’identità, di qualsiasi tipo essa sia, che il passato difficile dell’Albania. L’ho sofferto e amato.