di Paolo Miggiano
Di Ulisse, della sua partenza, della sua astuzia, delle sue capacità diplomatiche, del suo peregrinare per il Mediterraneo, dei suoi amori, delle disavventure, dei venti contrari, del suo ritorno, della sua vendetta e della sua probabile ripartenza da Itaca sappiamo tutto.
Quando noi non grecisti, semplici appassionati del mito greco, leggiamo l’Odissea, di Penelope ne traiamo una rappresentazione piuttosto ferma, ancorata alla sposa fedele, prigioniera nel ruolo di compagna in perenne attesa, madre, paziente e sapiente tessitrice, silenziosa, impenetrabile, irraggiungibile, austera. Non nel modo dettagliato in cui ci è stato rappresentato Ulisse, ma questa è la rappresentazione che di una Penelope ci è stata restituita dal mito e dalla letteratura.
Una Penelope, dunque che, al di là dei tanti si dice, è in perenne e fedele attesa dell’uomo con il quale ha vissuto per pochissimo tempo, sempre affranta tra malinconia e pianto. Una donna che rifiuta, odia e disprezza la folla dei sui spasimanti e pretendenti più che di lei del trono di Ulisse. E lei tesse un falso sudario, una tela di ragno, una trappola ingannatrice degna dell’astuzia dell’arguto uomo che attende.
Di una donna che nell’attesa cerca un sorriso, uno sguardo, di una donna segretamente innamorata, sono in pochi, fino ad ora, che ce ne hanno parlato. Pare lo abbia fatto Apollodoro ne I miti greci, dove si dice di una Penelope che non sarebbe rimasta fedele al marito, tradendolo con Anfinomo e per questo sarebbe stata scacciata e probabilmente uccisa da Ulisse. Una rilettura che ritroviamo nel racconto poetico della grecista e traduttrice dell’Odissea, Maria Grazia Ciani, La morte di Penelope, pubblicato per l’editore Marsilio.
Una trasposizione della donna fedele per eccellenza, quella della Ciani, che colloca Penelope all’interno di una trama letteraria dialogante tra i principali personaggi della vicenda omerica, dove Euriclea, Telemaco, lo Straniero, Ulisse, Antinoo (Anfinomo) e Penelope si incontrano, restituendo un’affasciante, segreta, velata tessitrice piuttosto inedita.
Ulisse è partito da vent’anni, quando Telemaco era ancora un bambino, un bambino che si è fatto uomo all’ombra del mito del padre e che ora teme di perdere l’eredità che gli appartiene. Per vent’anni la sposa fedele ha aspettato il proprio uomo con il quale, dal giorno che la preferì ad Elena, ha vissuto pochissimo tempo.
È lungo il tempo dell’attesa e a pretenderla sono in tanti, ma più che lei i Proci pretendono il suo trono, il regno appartenuto a Ulisse. Ma tra coloro che nell’attesa della scelta si ingozzano e si sollazzano con le ancelle c’è lui, il più nobile, il più bello, il più audace, il più saggio, il più giusto, colui che primeggia tra i pretendenti, il meno tracotante. Ha il destino segnato, incapace di mutare il proprio fato, ma gli occhi per cogliere ciò che di segreto c’è nell’affascinante, misteriosa e sfuggente regina. È Anfinomo, che l’autrice, raccogliendo i si dice di Apollodoro, gli attribuisce il nome di Antinoo, il nome che rievoca la bellezza del giovane di origini greche, schiavo e amante dell’imperatore Adriano.
Sono trascorsi vent’anni e Ulisse non torna. Penelope è stanca di aspettare. Deve decidere. Cosa succede ad una donna che aspetta da vent’anni un ritorno che all’orizzonte non vede più? Accadeva ieri, accadeva nel mito, accade oggi. Gli uomini e le donne amano e ama anche Penelope.
Qui, in questo romanzo breve ma intenso della Ciani succede che nel tempo dell’attesa tra Penelope ed il giovane Antinoo nasce un sentimento. Non è erotismo di corpi, non ci sono amplessi consumati nel talamo del padrone, ma un gioco di sguardi taglienti, furtivi, cercati, rubati, sguardi subito repressi e il velo di Penelope che cade e il non saperlo più celare. L’eros è solo in un gioco vicendevole di sguardi, penetranti, ammalianti. “Lamenti di fondo”, solitudini e malinconie, ma una sera occhi profondi e magnetici squarciano il cielo di nuvole nere. Non una vita parallela, ma un sentimento celato nel cuore e negli occhi. Non una unione carnale, non un atto fisico emerge dall’incrociarsi dei monologhi, ma una profonda connessione sentimentale.
Penelope ama e quando il tempo emigra, finisce per amare anche dentro agli occhi suoi, negli occhi dell’unico uomo che riconosce, Antinoo. Dice Penelope: Ma anche se non voglio, se cerco di impedirmelo, lo sguardo scivola obliquo verso una persona, una sola, la sola che distinguo e che inesorabilmente mi attira sempre di più. Ogni giorno di più. Giorno dopo giorno. Fino a quando?
È il romanzo degli sguardi la narrazione di Maria Grazia Ciani. Un velo che cade, lo sguardo a pieno viso e Penelope in quello sguardo di un attimo scopre che Antinoo è nel suo cuore da molto. E quando il volto di lui diventa suo, impresso nei suoi occhi, ecco che le manca la sua voce. Ora entrambi sanno che si cercano che tendono l’uno verso l’altra. E l’amore, questo, non è il dovere dell’attesa.
E quando il tempo degli sguardi sembra essere cessato e Penelope decide di scendere nell’atrio del trono affinchè la sorte decida per lei, ecco che ancora una volta: … ho alzato gli occhi e ci siamo immersi uno nell’altra. Noi soli a noi soli.
Penelope ha scelto, sarà l’arco di Ulisse che deciderà la sua sorte. L’arco che solo Ulisse sapeva tendere. In cuor suo spera che a riuscirci sia solo Antinoo. Ma mentre lui si rifiuta di soggiacere a questo gioco, che mette l’amata in palio come una schiava, un gioco non degno della sua regina, tra il disappunto degli altri pretendenti, restituisce a Penelope quell’arco.
Ed ecco che quando tutti ebbero provato a tendere la corda dell’arco, senza riuscirci, toccò di nuovo a lui e, ancora una volta, si rifiutò, restando fisso con lo sguardo nello sguardo di Penelope, svelando a tutti il loro amore.
Ed è qui che lo straniero in veste di mendicante si impadronisce dell’arco e della faretra, l’arco che non lo aveva mai tradito e che non lo tradirà neanche questa volta. Ulisse lo tese senza sforzo e quando toccò la corda, essa emise un suono bellissimo, simile a voce di rondine.
È l’arco che unisce per sempre Penelope e Antinoo, perché secondo quanto si dice, la storia che spesso oggi si ripete, è stata già scritta molto prima di noi. Le donne non possono tradire, non possono amare oltre il padrone di turno. Tra Penelope e Antinoo ci sono solo degli sguardi taglienti, null’altro. Eppure ad Ulisse, secondo i si dice, come ad Otello di Shakespeare (che uccide Desdemona per la sola sospetta infedeltà), basta solo il sospetto di essere stato tradito, dopo vent’anni di assenza, per trafiggere con le sue frecce la gola di Antinoo ed il petto di Penelope che cadendo sembra spiccare il volo. Come un rondine.
Penelope ha amato, ma amare, dice l’autrice nella sua post-fazione, non è sempre e solo sedurre, concupire, possedere. Penelope si è innamorata, ha fatto una scelta, la “sua” scelta. Ama, è riamata. Dopo vent’anni la tela di ragno potrebbe diventare un solido tessuto su cui ricamare finalmente la vita. La sua vita. Potrebbe, appunto. O meglio: avrebbe potuto.