Robin Summa (1994), figlio di Pierangelo Summa (1947-2015), ha curato il libro “La maschera è libertà” in seguito alla morte del padre, particolarmente noto nel mondo del teatro (a livello internazionale) per le sue maschere. Attualmente, dopo aver trascorso molti anni a Parigi, Robin vive a Napoli, dove lavora in una bottega, nella quale dà vita alla sua attività artigianale, in connessione con la cospicua attività paterna.
In seguito alla morte di Pierangelo (2015), Robin, forte delle spiegazioni in merito alla sua arte, si impegna ad ispirarsi a questa strada e a pubblicare il libro sopracitato. Il padre concepiva la maschera coniugandola con la sua sensibilità: nella cantina di casa erano presenti più di 100 modelli, in legno e resina. Robin ha ritrovato anche manoscritti e lezioni. Quando si è trasferito da Parigi a Napoli, ha cercato una casa editrice per creare una serie di testi e foto con maschere, facendo una prima raccolta sintetica, sui personaggi protagonisti della “Commedia dell’Arte”. Grazie ai 30 anni di ricerca da parte di Pierangelo, tutto ciò è stato reso possibile.
Per esporre i contenuti del libro, riteniamo che i cenni biografici di Pierangelo, presenti nell’Introduzione, siano necessari, ai fini della comprensione dello stesso.
Pierangelo Summa nacque nel 1947 a Como, da un padre lucano e da una madre originaria della Ciociaria. I suoi genitori (nonni di Robin Summa) si erano trasferiti a Como: nonno geometra e nonna proveniente da una famiglia dell’antica aristocrazia locale. Quando il padre morì, Pierangelo aveva solo 21 anni e la madre rimase quasi totalmente paralizzata. Così, a 21 anni, Pierangelo cominciò a lavorare (vari mestieri): da insegnante di matematica a contratto, fino a passare il concorso per l’”Inps”. Si impegnò, in famiglia, nel movimento artistico (in Italia) legato al “teatro di figura”, cui appartenevano Dario Fo in persona e la moglie Franca Rame (fine anni Settanta). Iniziò a creare varie compagnie di burattini che facevano interventi (filastrocche, racconti, maschere) in contesti diversi, soprattutto in Nord Italia. In quell’epoca, cominciò una trasmissione a varie puntate nella TV Svizzera: “Il giudice di Roccastorta”. I bambini inviavano delle lettere e i protagonisti della trasmissione (Pierangelo, il fratello Massimo, la sorella Luce Glauca e i rispettivi sposi, Mirella, Laura e Maurizio -senza dimenticare il nipote Luca-) le trasponevano in chiave teatrale, con un “taglio” ed una vocazione politici: vi era un’implicazione sociale, per tendere l’orecchio verso le voci dei quartieri isolati e alle tradizioni popolari.
Successivamente, accadde che la madre di Robin partì per la Francia: negli anni Ottanta, il padre si trasferì con lei, lasciando l’“Inps” e aprendo un laboratorio di maschere teatrali (“Commedia dell’Arte”) a Montreuil (vicino a Parigi). In questo periodo, iniziando “per caso”, diede vita a maschere, usando anche il cuoio. Ricevette svariate richieste e domande, dopo aver trascorso 10 anni, alle spalle, dedicandosi a questo ambito e, in seguito, lavorando con numerosi teatri, continuando interventi nelle scuole, in un contesto parigino popolare. Il suo motto: stare vicino alla cultura; propriamente, a contatto con persone che cercassero di “creare società”. Era tradizione che la maschera fosse indossata da un “popolano”, rappresentando la gente del posto e la comunità. Pierangelo fabbricava maschere documentandosi, cercando anche di mettere dentro tutta l’energia culturale della realtà rappresentata. Si è trattato di un processo che trova, nella sua sintesi, il prodotto teatrale in questione. Ha generato (tra forme e calchi) molto più di un centinaio, vendendo circa 6000 maschere.
In seguito all’Introduzione a carattere biografico, il motivo per cui l’autore suggerisce di leggere il suo libro, è che ha raccontato e veicolato l’immenso patrimonio artistico ereditato da Pierangelo, dopo un grande studio (anche) antropologico, dando luogo a quest’analisi divulgativa. Si tratta di cosa siano la “Commedia dell’Arte” e la maschera, ricondotte alle loro origini e a varie analisi, in quanto ciò può essere utile per “dire qualcosa” per l’umanità: è un evento storico e sociale, centrale in tutta Europa. Tuttavia, diversi autori tendono a non spiegare queste tematiche e la loro evoluzione; fattore che rende il presente studio ancora più singolare.
Il titolo completo è: “La maschera è libertà. Storia di un’insurrezione teatrale” – Libretto 1: “Le origini della Commedia dell’Arte e qualche personaggio”- (“Il Quaderno Edizioni”, 2019) . È come un racconto, caratterizzato da una dettagliata analisi storica, che comprende in modo sintetico l’evoluzione che questi prodotti artigianali -elevati a dignità di oggetti d’arte- hanno avuto, oltre agli aspetti culturali e politici che ne derivano.
Tra questi fattori, a Robin sta particolarmente a cuore il fatto di raccontare cosa rappresentino queste maschere, che hanno da sempre assunto un ruolo centrale, nella sua vita di artista. Robin cerca di restituire questa bellezza storica in quanto, ai suoi occhi, non è ancora stata valorizzata, nonostante esistano almeno 800 maschere italiane. Lo studioso Maurice Sand, autore di “Masques et bouffons” (1860), a tale proposito, ha compiuto delle ricerche notevoli su 300 anni di “Commedia dell’Arte”. All’epoca, ogni singolo paesino italiano aveva una sua maschera. Al termine del libro, Robin ne cita 10: Arlecchino, Brighella, Pedrolino, Pulcinella, Coviello, Tartaglia, Capitano, Cirano, Dottore, Pantalone. Questi hanno assunto un’importanza sociologica imprescindibile, ai fini della storia endemica, ma anche nazionale. Pulcinella, ad esempio, esibisce lo spirito contraddittorio di Napoli: è aggressivo e, al tempo stesso, dolce. Quindi, ogni modello, nella sua forma ed espressività, dice qualcosa di ciò che un individuo è: tra questi 800, ci si può immedesimare nel carattere e nella psicologia (anche a quest’ultimo ambito, si fa ricorso, per trovare catarsi e liberazione). Tartaglia, invece, rappresenta un notaio napoletano (comunque, una persona che svolge un lavoro “burocratico”, in origine, di matrice borbonica, per via della dinastia dominante a Napoli). È un personaggio che passa da un’estrema timidezza ad aggressività. Questo si ritrova esattamente -ancora oggi- in coloro che lavorano in un contesto simile: ecco l’ulteriore dimostrazione di quanto la maschera possa incidere sulla vita delle persone. Quelle della “Commedia dell’Arte” sono mezze maschere, perché colui che le indossa nasconde la parte che sta sotto, dando vita al “demone” che è. Sono anche comiche, in quanto scaturiscono dall’autoironia.
Sempre, in merito al titolo “La maschera è libertà”, esso si riferisce al potere straordinario, nascondendo una parte del viso, di permettere di scoprire aspetti della propria personalità che, altrimenti, non sarebbe possibile esprimere.
Robin sta intraprendendo questo lavoro per passione e per il suo percorso artistico: sta riscoprendo aspetti del padre che non conosceva. Ha reso onore al suo lavoro encomiabile, che si sta rivelando anche terapeutico per la morte del padre.
In ultima analisi, questo percorso è in corso di svolgimento, per la vita.
Riteniamo sia doveroso concludere citando l’inizio del libro, con le parole del compianto Pierangelo:
La maschera non è
Un travestimento da festa
(ma è la festa),
un elemento di decorazione
(ma è viva),
un aspetto del viso
(ma è un personaggio intero),
una caricatura
(ma è l’essenza del personaggio),
quella che nasconde
(ma è quella che rivela),
nuova
(ma c’era già da sempre).
La maschera è lo sguardo dell’altro:
è “er” satiro
che ride nascosto frammezzo alla mortella:
il satiro che ride
nascosto in mezzo ai cespugli.
(2014)
NB: In basso, le due foto:
-Pierangelo Summa e maschere, inizio anni Ottanta (fotografo sconosciuto)
Stefano Chiesa
Molto interessante ed importante nel periodo particolarmente difficile che stiamo trascorrendo Grazie a voi, per la trasmissione da parte dell figlio, e per la presentazione da parte del Giornale Letterario, di questo lavoro