“LA CATTIVA ERBA” DI BEPPE CHIERICI
di Ezio Settembri
Il volume “La cattiva erba” (Amici miei editrice, 2013), traduzione dal francese all’italiano delle canzoni del grande Georges Brassens, ad opera dell’amico del “Tonton George”, Beppe Chierici, accompagnato da 2 cd contenenti ben 40 canzoni (con il contorno degli splendidi disegni di Dario Faggella), reinterpretate in italiano dallo stesso Beppe Chierici; ripercorre la vita del grande maestro francese anche con aneddoti e curiosità. Il libro prende il titolo da uno dei più celebri brani, “La mauvaise herbe”, di colui che è stato sicuramente il più grande “chansonnier” francese, il De Andrè francese; o, meglio, visto che lo ha preceduto, De Andrè è il Brassens italiano. Siamo insomma nei territori dove la poesia incontra la musica, la canzone d’autore.
L’opera di Chierici è sorprendente per l’originalità e la capacità di avvicinare anche quelli che sono digiuni della lingua francese, a Brassens. Il suo lavoro è stato immane, su un linguaggio, quello del “Tonton Georges”, come lo chiama lo stesso Chierici, non facile ed immediato. Eppure tanti insegnanti propongono Brassens ai propri alunni. Più che il ricorso all’enjambement, che non appassiona i giovani, sono i temi che essi apprezzano. Brassens è stato definito anche il “miscredente di Dio“ (J. C. Lamy) per la sua vicinanza ai diseredati, i deboli, i derisi dalle cosiddette “braves gens“, o benpensanti. Basti pensare a “Pauvre Martin” e “La prière“ per essere commossi. O ancora “Les amoureux des bancs publics“ che gli alunni imparavano a memoria.
Una poetica, quella di Brassens, che, dicevamo, nasce dagli ultimi, gli umili, innalzandoli con una religiosità assolutamente laica, che nella sua strenua fedeltà alla terra acquista un candore del tutto particolare, perchè non rinuncia alla sensualità, ma la sottrae ai sensi di colpa dei borghesi. E forse è appropriato attribuire a Brassens quella dignità e quel senso morale, per cui, come scrisse Pasolini, “il moralista dice di no agli altri, l’uomo morale lo dice solo a sé stesso”. Ci sembra doveroso sottolineare questi aspetti, non per costringere il maestro di tutti i cantautori italiani ed europei entro un sistema di valori, né tantomeno un orientamento politico; perchè Brassens è uomo e spirito libero per eccellenza, nonché, come ricorda Nanni Svampa, “uno dei rari esempi di coerenza tra espressione artistica e vita privata”. Lontano dai terreni battuti del conformismo (“La mauvaise réputation”), il suo anarchismo e individualismo, ostinati quanto sani, rifuggono da ogni forma d’egoismo.
Brassens resta il cantore della semplicità (“Le mie canzoni devono aver l’aria di essere parlate, raccontate”), nell’accezione di “cosa più difficile del mondo”, secondo il poeta Filippo Davoli. Ed ha ragione Chierici ad esaltarne la capacità di rendere tutto orecchiabile, versi, rime e melodie. Le peculiarità del lavoro di Chierici vanno rintracciate nella traduzione “metronomica” del Maestro che dichiarò: “Non sono uno che porta messaggi, ma un facitore di rime”. Chierici è giunto, in tal senso, a “profanare” la Treccani (fo invece di faccio; vo invece di vado) piuttosto che “tradire” il suo amico, perchè, ricorda, è proprio nell’assenza della rima la principale “lacuna” di tante traduzioni, anche belle, di Brassens. Dunque un cinquantennale lavoro di traduzione nel rispetto delle rime, anche di tutte quelle diaboliche, sorprendenti e argute rime interne. A parte due canzoni con tonalità diversa, le altre 38 sono arrangiate in modo che la voce di Brassens possa sovrapporsi a quella di Chierici in qualsiasi momento. Un’opera di traduzione che merita un plauso enorme perchè restituisce in italiano tutta l’alchemica sapienza letteraria e popolare del “Maestro irriverente” (Margherita Zorzi), nella formula magica che unisce contenuto, rima e musica; quel lirismo trasognato di chi, modificando appena una famosa affermazione di Ennio Flaiano, mantiene saldamente un piede sulla terra e uno sulle nuvole.