Massimo Lunardelli è autore del saggio che ricostruisce la vita di Mario Gramsci, il fratello di Antonio, intorno al quale per decenni è stata costruita una narrazione distorta, falsa. Con Lunardelli abbiamo parlato del libro.
Mario Gramsci è il fratello di Antonio sul quale negli ultimi decenni si è andata a costruire una narrazione di parte che con la sua ricerca lei smonta pezzo dopo pezzo. Dai fasci di Varese alla Repubblica Sociale. Ci può raccontare com’è nato questo libro?
Questo libro, un po’ come tutte le cose che faccio, è figlio della curiosità. Una volta scoperto che Antonio Gramsci ha avuto un fratello fascista, mi ha colpito non trovare sul suo conto quasi niente, se non la solita storiella stereotipata che lo voleva un fascista duro e puro, fedele fino all’ultimo a Mussolini, cancellato dalla storia per volere dei comunisti. Mi è sembrato un buon punto di partenza per mettermi a cercare, senza nessuna tesi precostituita da dimostrare. Cercare, dal latino circum, vale a dire girarci intorno in un cerchio che si è stretto sempre più: ecco quello che ho fatto, un lavoro lungo tre anni.
Grazie alla sua ricerca conosciamo meglio il fratello di Antonio, un uomo tormentato e sfortunato, coraggioso combattente nella Grande Guerra e capitano durante la Campagna d’Etiopia. Nel corno d’Africa Gramsci diventa protagonista aprendo un’altra pagina rimossa della nostra storia: quella della repressione dei popoli abissini. Ci può raccontare questa vicenda?
Mario Gramsci andò in Etiopia nel ’35 quando ormai aveva più di quarant’anni e ci restò quattro anni, volontario nell’esercito con il grado di capitano. Non ho le prove, ma azzardo col dire che ci andò non per ideali ma per guadagnarsi uno stipendio. Aveva a casa a Varese una moglie e due figli piccoli, aveva inoltre appena fallito un’attività imprenditoriale: si era inventato una spazzola di gomma che doveva pulire ogni cosa e che invece aveva prodotto solo debiti. Quel che è certo è che nel nord dell’Etiopia, in una regione che si chiama Uolcait, ai confini con l’Eritrea, comandò una banda irregolare composta da più di 500 uomini con il compito di dare la caccia ai ribelli etiopi. Ordinò l’incendio di villaggi, se la vide brutta in un’occasione, quando restò a lungo asserragliato in un fortino. I documenti che provano ciò sono a disposizione di tutti, conservati in un fondo che si chiama Ellero, conservato alla biblioteca del Dipartimento di Storia, Culture e Civiltà dell’Università di Bologna.
Da alcuni anni Marcello Veneziani scrive di Mario Gramsci come del fratello nero e aggiunge: “Rimase fascista durante il regime, aderì poi alla Repubblica sociale, fu fatto prigioniero, cercarono vanamente di fargli abiurare la sua fede fascista”. Secondo lei è possibile oggi correggere un errore storico così grave?
Di errori storici purtroppo è pieno il mondo, temo sia impossibile impedire che certe false verità continuino a circolare. A volte poi sono bugie costruite ad arte e la rete, nonostante i suoi tantissimi pregi, è perfetta per gettarle in pasto ai tanti che copiano, incollano e condividono senza porsi domande. Su Mario Gramsci c’è l’aggravante che è il fratello di Antonio ed è quindi perfetto per essere sacrificato sull’altare della contrapposizione ideologica. Dire che la sua storia è stata cancellata per volontà dei comunisti è un’eresia storica, mi è bastato mettermi a cercare per trovare; ma il problema non è solo Marcello Veneziani che su Mario Gramsci diffonde da anni una storiella mai supportata da nessun documento: a Cagliari Casapound ha aperto una sede a lui intitolata, a Varese al cimitero di Belforte dove Mario Gramsci è stato sepolto, ogni 25 aprile gruppi neonazisti e neofascisti scandiscono il suo nome. Ecco, vorrei dire a tutti loro, senza nessuna presunzione, che se avranno voglia di leggere il mio libro troveranno documenti che dimostrano che hanno preso una cantonata.
Mario Gramsci che una parte politica ha iscritto a simbolo del fascismo duro e puro in realtà durante la prigionia in Australia, prima si dichiarò monarchico e poi antifascista, venendo trasferito da un campo ad un altro per evitare ritorsioni da parte dei fascisti presenti. Quale è stata la sua reazione quando ha trovato questo documento?
Nessuna reazione particolare, se non il piacere della scoperta. In realtà i documenti sono due. Il primo arriva dal National Archives of Australia ed è il fascicolo del prigioniero di guerra Mario Gramsci, dal quale risulta che gli inglesi lo consideravano un collaborazionista. Il secondo documento è il verbale dell’interrogatorio a cui Mario Gramsci fu sottoposto al rientro in Italia dalla Commissione per l’interrogatorio degli ufficiali reduci da prigionia di guerra: risulta da questo verbale che si dichiarò monarchico e antifascista subito dopo l’8 settembre del ’43 chiedendo di combattere contro i tedeschi. Questo interrogatorio è datato 7 settembre 1945 ed è conservato negli archivi dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito di Roma. A questo punto si può discutere, al massimo, se la scelta di Mario Gramsci sia stata dettata da opportunismo e da idealità.
Questo saggio, oltre a rendere giustizia storica ad un personaggio tirato bruscamente per la giacca, è in realtà un vero e proprio manuale sul come si costruisce una ricerca storica. Quali sono le fonti principali e quale il metodo scientifico che lei ha utilizzato per completare il saggio?
Le mie fonti, oltre agli archivi di Stato e militari, sono stati i giornali dell’epoca, soprattutto per quanto riguarda il ruolo di Mario Gramsci all’interno del Fascio di Varese. Mi sono servito inoltre di molti libri per inquadrare storicamente i vari passaggi, perché la la storia Mario Gramsci è dentro la storia dei primi 50 anni del Novecento. Nel libro ho voluto rendere palese la metodologia utilizzata nella ricerca, comprese le contraddizioni, gli errori e gli incagli. Mi è sembrato il modo migliore per raccontare la vita e la morte di Mario Gramsci, fatta anch’essa di contraddizioni, errori ed incagli; non so se alla fine ho realizzato un manuale sul come si costruisce una ricerca storica, non ho pretese in tal senso, tanto più che non sono uno storico.
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