Cenni biografici
Alla poetessa americana Louise Glück viene assegnato nell’ottobre del 2020 il Premio Nobel per la Letteratura, a giudizio dei critici, per una “voce poetica inconfondibile che con austera bellezza sa rendere universale l’esistenza individuale”.
Nata a New York il 22 aprile del 1943 da famiglia di ebrei immigrati dall’Ungheria e cresciuta a Long Island, si dedica alla poesia fin dall’infanzia. Soffre di anoressia nervosa negli anni dell’adolescenza; per superarla intraprende un percorso terapeutico di sette anni che non le permetterà di terminare gli studi scolastici e di conseguire un diploma universitario. Partecipa a molti corsi di scrittura poetica tenuti principalmente alla Columbia University, mentre lavora come segretaria. Nel 1971, in seguito alla sua prima pubblicazione Firstborn del 1968, incomincia ad insegnare poesia al Goddard college di Vermont. Ora vive a Cambridge nel Massachusetts ed è impegnata come scrittrice e insegnante presso la Yale University. Si tratta della sedicesima donna nella storia a vincere il premio Nobel per la letteratura. La sua opera è vista in una luce molto positiva dalla critica, specialmente a partire dalla pubblicazione di The Wild Iris del 1992 con cui vince il Pulitzer Prize; la sua ultima raccolta pubblicata nel 2014, Faithful and Virtuous Nights, ottiene il National Book Award. Dal 2003 al 2004 la Glück porta il titolo di Poeta Laureato degli Stati Uniti d’America, in base al quale è chiamata a rappresentare l’intera nazione.
Nel corso di cinque decenni ha composto dodici raccolte poetiche e diversi saggi letterari, evitando il più possibile i riflettori ed il rilascio di interviste. La poetessa vede infatti la troppa popolarità ed acclamazione da parte del pubblico come una “pecca” dell’opera.
Temi e stile
Le sue poesie trattano di temi universali, quali l’amore, la famiglia, la perdita, il lutto, l’invecchiamento e la morte, presentati con un linguaggio diretto ed immediato, piano, come se il poeta si stesse rivolgendo direttamente al lettore. Versi franchi ed accessibili dunque, ma che non rendono la sua opera prosaica o poco immaginativa: essi risuonano invece a lungo nel lettore, cristallizzando immagini vivide di scene penetranti di dolore e passione, ed evocano dimensioni e significati profondi e variegati che ne rendono difficile o addirittura impossibile una comprensione univoca e totale. Il registro è emozionale, ma spesso anche duro e crudo, sa affrontare i mostri e gli scheletri del nostro io esaminandoli con attenzione, non con rassegnazione o disperazione. Le sue parole sono state viste come una lente di ingrandimento puntata sul quotidiano, sull’ordinario, per permetterci di vedere con chiarezza le nostre paure, leggere e comprendere i nostri sogni.(1) Il suo verso libero risulta essere sempre ben organizzato e strutturato in senso retorico; non appare essere né confessionale né intellettuale, bensì arguto, schietto, profondo, ironico, esatto, preciso ed ordinato.(2) Un verso breve ed intenso ma capace di trascendere l’apparente semplicità, dove risuonano pezzi di vita e aneddoti personali e familiari, ordinari e circoscritti, per farci scivolare poi nel profondo dell’animo e della psiche umani, grazie ad un dire enigmatico che apre uno spazio cui al lettore è permesso di entrare a colmare vuoti.(3) Si può dunque parlare di una biografia in versi volta alla ricerca interiore e all’interpretazione del reale, nel continuo alternarsi di domande e risposte che la poetessa stessa si pone e si dà, in un susseguirsi di scorci di scene familiari.
Immediatezza, ironia pungente, leggibilità ed essenzialità sono i termini che caratterizzano lo stile della Glück, che intravede nella parola e nel linguaggio lo strumento conoscitivo attraverso il quale è possibile riconoscere ed accettare i propri tormenti senza soccombervi.
Il mito
Nella sua raccolta più popolare, The Wild Iris, la voce della poetessa si interseca con quella dei fiori del suo giardino, intrecciando con loro lunghe conversazioni circa la fugacità del vivere e dando loro una voce. Il giardino diviene quindi il luogo spirituale dove indagare il mistero dell’esistenza e si pone come specchio della vita, dove i fiori, di fronte ad un Dio sordo ed indifferente, risuonano come voci ultraterrene che ci mostrano come accogliere ed imparare ad amare anche il buio, l’oscurità del vivere, il terrore della morte. Una poesia proiettata verso l’oltre, verso il divino, l’opposto di ciò che avviene nella raccolta Averno del 2006, dove si esorta il lettore a scendere invece negli inferi, ad esplorare l’inferno del quotidiano, il buio del dolore e della perdita. Averno è infatti il nome del lago in Campania considerato dal mito quale porta d’accesso al regno oltremondano. Ecco quindi emergere la centralità del mito nella sua poesia, dove la mitologia classica viene proiettata nel quotidiano e fatta rivivere in una dimensione ordinaria (4), divenendo strumento conoscitivo di analisi e trasfigurazione del sé. In Averno appare la figura mitologica di Persefone, che presiede il cambio delle stagioni, errante e vagabonda tra due mondi, quello del corpo e dell’anima, a rappresentare la terribile scissione che la lacera, allo stesso modo in cui lacera gli esseri umani e la poetessa.
Nella raccolta Meadowlands leggiamo la poesia intitolata “Circe’s Power” (Il potere di Circe), dove la maga mostra piena consapevolezza di sé, del proprio potere ma anche della propria magnanimità: ella sa infatti che potrebbe trattenere ed incatenare il suo uomo per sempre rendendolo prigioniero, ma rinuncia a vivere nella finzione di una vita felice e perfetta fatta di bisogni semplici: afferma infatti che i bisogni non sono poi sempre così banali, aprendoci ad una dimensione più profonda e personale dell’essere umano: “I am sick of your world/that lets the outside disguise the inside./…/Then I reversed the spell,/showing you my goodness/as well as my power. I saw we could be happy here,/as men and women are/when their needs are simple. In the same breath I foresaw your departure/…/You think/a few tears upset me? My friend,/every sorceress is a pragmatist at heart; nobody/sees essence who can’t face limitation./If I wanted only to hold you/I could hold you prisoner.” (Non ne posso più del tuo mondo che lascia che l’apparenza mascheri l’interiorità…Allora ho rovesciato l’incantesimo, per mostrarti la mia bontà oltre che il mio potere. Sapevo che potevamo essere felici qui, come per gli uomini e le donne quando i loro bisogni sono semplici. Nell’istante stesso ho previsto la tua partenza…Credi che un paio di lacrime mi riescano a sconvolgere? Amico mio, in fondo ogni maga è anche pragmatica; non riesce a vedere l’essenza colui che non sa affrontare i limiti. Se solo ti volessi tenere, ti terrei prigioniero).
Figure mitologiche quindi, che invitano a rispecchiarsi e parlare di storie ordinarie e familiari. La poetessa ci presenta infatti il mito classico di Ulisse e Penelope per raccontare ed esplorare la rottura del proprio matrimonio. Separazione vista e vissuta anche attraverso gli occhi del figlio Noah, trasformato nelle poesie in Telemaco. Ci illustra l’amore finito, perduto attraverso anche Didone ed Enea, Orfeo ed Euridice. La poesia assurge così ad una forma di riscatto, mentre trasfigura in forma lirica eventi profondamente dolorosi.
Viaggio tra i versi
Dall’opera Ararat, il cui nome si riferisce al monte della Genesi su cui approdò l’Arca di Noè che tratta della morte del padre e della sorella della poetessa, vediamo alcuni versi significativi tratti dalla poesia “Lover of Flowers”: “But for my sister, that’s the condition of love./She was my father’s daughter:/the face of love, to her,/is the face turning away.” (Ma per mia sorella, questa è la condizione dell’amore. Lei era la figlia di mio padre: la faccia dell’amore, per lei, è la faccia che si volta dall’altra). Dalla lirica “Lost Love”: “Then it seemed to me my sister’s body/was a magnet. I could feel it draw/my mother’s heart into the earth,/so it would grow.” (Poi mi sembrò che il corpo di mia sorella fosse un magnete. Lo sentivo attirare il cuore di mia madre dentro la terra, così sarebbe cresciuto). Da “Snow”: “I remember/staring straight ahead/into the world my father saw;/I was learning/to absorb its emptiness,/the heavy snow/not falling, whirling around us.” (Ricordo che guardavo diritto dentro il mondo di mio padre; imparavo ad assorbirne la vacuità, la neve pesante, che non cadeva, che ci vorticava attorno). Ed ancora da “First Memory”: “Long ago, I was wounded. I lived/to revenge myself/against my father, not/for what he was-/for what I was: from the beginning of time,/in childhood, I thought/that pain meant/I was not loved./It meant I loved.” (Tempo fa fui ferita. Vissi per vendicarmi di mio padre, non per ciò che lui era- per ciò che ero io: fin dall’infanzia, ho pensato che dolore significasse non essere amata. Significava amare).
Dall’opera The Wild Iris ecco alcune riflessioni sull’amore e sul rapporto di coppia presenti nel poema “The Garden”: “even here, even at the beginning of love,/her hand leaving his face makes/an image of departure/and they think/they are free to overlook/this sadness.” (persino qui, persino all’inizio di un amore, la mano di lei che lascia il suo viso crea un’immagine di distacco e loro pensano di essere liberi di trascurare questa tristezza). E ancora nella poesia “Sunset”: “And yet your voice reaches me always./And I answer constantly, my anger passing/as winter passes. My tenderness/should be apparent to you/in the breeze of the summer evening/and in the words that become your own response.” (Però la tua voce sempre mi raggiunge. Ed io rispondo costantemente, la mia rabbia che passa come passa l’inverno. La mia tenerezza ti dovrebbe sembrare apparente nella brezza delle sere d’estate e nelle parole che divengono la tua stessa risposta). Ed un colloquio con Dio nella lirica “Harvest”: “If what you fear in death/is punishment beyond this, you need not/fear death:/how many times I must destroy my own creation/to teach you/this is your punishment:/with one gesture I established you/in time and in paradise.” (Se ciò che temi della morte è una punizione oltre a questo, non devi temere la morte: quante volte devo distruggere la mia stessa creazione per insegnarti che questa è la tua punizione: con un gesto ti ho posto nel tempo e in paradiso).
Dalla collezione Meadowlands, ecco nel poema “The Dream”, una intensa riflessione sul matrimonio ed un bilancio relativo agli anni della sua convivenza col marito: “I thought you hated diaries./I keep them when I’m miserabile. Anyway,/all those years I thought we were so happy/I had a lot of diaries./…/I kept thinking of how we used to watch television,/how I would put my feet in your lap. The cat would sit on top of them. Doesn’t that/still seem an image of contentment,/of well-being? So,/why couldn’t it go on longer?/Because it was a dream.” (Pensavo tu odiassi i diari. Li tengo quando sono disperata. Comunque sia, pensavo fossimo stati così felici in tutti quegli anni, tenevo un sacco di diari…Pensavo continuamente a come guardavamo insieme la televisione, come appoggiavo i miei piedi sulla tua pancia. Il gatto seduto sopra. Non è forse questa un’immagine di felicità, di benessere? Allora, perché non è andata avanti così? Perché era un sogno).
La collezione Vita Nova ci presenta attraverso la lirica “The Mystery” una considerazione sul senso della vita, il suo fine ed i suoi misteri: “The passionate threats and questions,/the old search for justice,/must have been entirely deluded./And yet I saw amazing things./I became almost radiant at the end;/…/like an eager student/clinging to these simple mysteries/so that I might silence in myself/the last accusations:/Who are you and what is your purpose?” (Le minacce e le demande appassionate, l’antica ricerca di giustizia, devono essere state completamente deluse. E comunque vedevo delle cose meravigliose. Sono quasi divenuta raggiante alla fine; come una studentessa desiderosa che si aggrappa a questi semplici misteri, in modo da poter mettere a tacere in me le ultime accuse: chi sei e qual è il tuo scopo?)
Nella lirica “From A Journal”, tratta dall’opera The Seven Ages, la poetessa ci racconta di un’unione platonica, fatta di intimità e sogni, che trascende la banalità di un amore convenzionale e che dona una forma ed un senso completamente nuovi all’esistenza: “After a time, I realized I was living/a completely idiotic life./Idiotic, wasted-/and sometime later, you and I/began to correspond, inventing/an entirely new form./…/Meanwhile, I was writing/different letters in my head,/some of which became poems./…/I wanted you to fall in love. But the arrow/kept hitting the mirror and coming back./…/I loved once, I loved twice,/and even though in our case/things never got off the ground/it was a good thing to have tried./…/And I feel, sometimes, part of something/very great, wholly profound and sweeping./I loved once, I loved twice,/easily three times I loved.” (Dopo qualche tempo mi sono resa conto che stavo vivendo una vita completamente insensata. Insensata, sprecata- E un po’ più tardi, io e te cominciammo a scriverci, inventando una forma completamente nuova…Ed io scrivevo tantissime lettere nella mia testa, alcune delle quali diventarono poesie…Volevo che tu ti innamorassi. Ma la freccia continuava a colpire lo specchio e a tornare indietro…Amai una volta, amai due volte, e, nonostante per noi le cose non siano mai iniziate, è stato buono l’averci provato…E talvolta mi sento parte di qualcosa di grande, profondo e vasto. Amai una volta, amai due volte, probabilmente tre). Ed una riflessione sulla trasformazione, sul cambiamento, nella poesia “Traveler”: “I stood under the tree,/waiting for my mind to save me./…/I chose to live in hypotesis; longing sustained me./In fact, what I needed most was longing,/which you seem to have achieved in stasis,/but which I have found in change, in departure.” (Me ne stavo sotto l’albero, aspettando che la mia mente mi salvasse…Scelsi di vivere nell’ipotesi; il desiderio mi sosteneva. In effetti, ciò di cui avevo più bisogno era il desiderio, che tu sembravi aver raggiunto nella stasi, ma che io avevo scoperto essere nel cambiamento, nel distacco).
Nella sua penultima raccolta A Village Life, la poetessa ci parla di situazioni quotidiane familiari e lavorative, di invecchiamento e morte. Dal poema “Dawn”: “Afterward, they separate for the day./Even later, at a desk, in the market,/the manager not satisfied with the figures he’s given,/the berries moldy under the topmost layer-/so that one withdraws from the world/even as one continues to take action in it-/You get home, that’s when you notice the mold./Too late, in other words./As though the sun blinded you for a moment.” (Poi si separano per la giornata. Anche in seguito, dietro il banco al mercato, il padrone non soddisfatto dei risultati ottenuti, le fragole ammuffite sotto lo strato in vista- così che ci si ritira dal mondo, nonostante si continui ad agire in esso- Arrivi a casa, ed è lì che noti la muffa. Troppo tardi, in altre parole. Come se il sole ti avesse accecata per un attimo). Dalla poesia “Harvest”: “I sit at the bedroom window,/watching the snow fall./The earth is like a mirror:/calm meeting calm, detachment meeting detachment./What lives, lives underground./What dies, dies without struggle.” (Siedo alla finestra della camera, mentre guardo la neve che cade. La terra è come uno specchio: calma che incontra la calma, distacco che incontra il distacco. Ciò che vive, vive sotto terra, ciò che muore, muore senza fare fatica). E nella lirica “A Warm Day”: “She looks at her hands-how old they are. It’s not the beginning, it’s the end./And the adults, they are all dead now./Only the children are left,/alone, growing old.” (Lei osserva le sue mani- come sono invecchiate. Non è l’inizio, è la fine. E gli adulti, ora sono tutti morti. Sono rimasti soltanto i bambini, soli, ad invecchiare).
Conclusione
La Glück non ci offre pertanto versi consolatori, bensì duri, severi ed assertivi, così come è solido ed assoluto il mito di fronte al caos della vita.(5) Versi che attingono al mito, ma al contempo intrisi di riferimenti personali. La poetessa risulta essere dura con sé stessa e con il lettore; rifiuta di rientrare nel canone, di essere definita ed etichettata, di assomigliare a qualcuno. Esprime sempre il profondo desiderio di essere sola, in compagnia delle proprie parole, pur non staccandosi dal mondo. Sa perfettamente che ciò che unisce gli esseri umani è soltanto la consapevolezza di ciò che li separa.(6) È inoltre una sognatrice la Glück, mentre trasforma la propria realtà ed i ricordi in sogni, mentre traduce le fasi e le tappe della propria vita in versi, compiendo una sorta di bilancio autobiografico.
Nella sua raccolta più recente Faithful and Virtuous Nights del 2014 lo stile ed il verso mutano, assumendo maggiormente le caratteristiche del romanzo: il verso si allunga proponendoci dei poemi narrativi, in prosa. Il tema della raccolta è il silenzio, visto sia in termini di tormento dell’artista che di invecchiamento e morte. Al tempo stesso emerge però anche quel senso di libertà che ci fornisce le ali per librarci oltre la rassegnazione e la delusione e per farci approdare sui territori della gioia, bizzarria e dell’umore.(7)
La poetessa stessa definisce, nel corso di un’intervista nel 2016, la propria espressione poetica, che considera basata sul concetto di “dilemma”, di pensiero dialettico strutturato secondo la continua presenza di opposti, voci umane e voci non umane, conversazioni tra moglie e marito, immagini concrete ed astratte; una dicotomia quindi che permea costantemente le sue liriche, dalla quale, grazie alla presenza di opposti e di punti di vista simultanei, scaturisce una potente energia.(8)
It came to me one night as I was falling asleep
that I had finished with those amorous adventures
to which I had long been a slave. Finished with love?
my heart murmured. To which I responded that many profound discoveries
awaited us, hoping, at the same time, I would not be asked
to name them. For I could not name them. But the belief that they existed-
surely this counted for something?
(Pensai una notte mentre mi stavo addormentando
che avevo terminato con quelle avventure amorose
delle quali a lungo sono stata schiava. Finito con l’amore?
mormorò il mio cuore. Risposi che molte scoperte profonde
ci attendevano, sperando, allo stesso tempo, che non mi venisse chiesto
di nominarle. Perché non le avrei sapute nominare. Ma credere che esistessero-
di sicuro contava qualcosa?)
“An Adventure”, da Faithful and Virtuous Nights, 2014
Bibliografia
Letteratura primaria
Louise Glück, Firstborn, Anvil Press Poetry, 1968
Louise Glück, The House of Marshland, Ecco Press, 1975
Louise Glück, Descending Figure, Ecco Press, 1980
Louise Glück, The Triumph of Achilles, Ecco Press, 1985
Louise Glück, Ararat, Ecco Press, 1990
Louise Glück, The Wild Iris, Carcanet Press, 1992
Louise Glück, Meadewlands, Carcanet Press, 1996
Louise Glück, Vita Nova, Ecco Press, 1999
Louise Glück, The Seven Ages, Ecco Press, 2001
Louise Glück, Averno, Ferrar Straus & Giroux, 2006
Louise Glück, A Village Life, Ferrar Straus & Giroux, 2009
Louise Glück, Poems 1962-2012, Ferrar Straus & Giroux, 2013
Louise Glück, Faithful and Virtuous Nights, Carcanet Press, 2014
Letteratura secondaria
(6)Carrera Alessandro, Louise Glück, la durezza della poesia, doppiozero.com, ottobre 2020
(3)Francini Antonella, Louise Glück, meditazioni metafisiche su sfondi ordinari, ilmanifesto.it, ottobre 2020
(2)Garner Dwight, Louise Glück, a Nobel Laureate Whose Poems Have Abundant Intellect and Deep Feeling, nytimes.com, ottobre 2020
(7)Gonzales Elisa, An Interview with Louise Glück, Washington Square Review, Issue 35, spring 2015
(1)Peirson-Hagger Ellen, Why Louise Glück is a worthy winner of the Nobel Prize for Literature, newstatesman.com, ottobre 2020
(5)Raveggi Alessandro, Da dove iniziare per scoprire la poetessa Premio Nobel Louise Glück, wired.it, ottobre 2020
(4)Sorrentino Bianca, Louise Glück, la selvatica voce del mito, pulplibri.it, Quotidiano dei libri, ottobre 2020
Louise Glück vince il premio Nobel per la letteratura, raicultura.it, ottobre 2020
(8)Lannan Podcasts: Louise Glück with Peter Streckfus, Conversation, New Mexico, 11 maggio 2016