Scorrendo i post sui vari social ci si può stupire del consenso che riscuotono foto e video che hanno i gatti come protagonisti. I felini, molto più degli altri animali domestici, riescono a conciliare persone dai gusti più disparati e che appartengono a mondi lontani sia in senso geografico, sia per appartenenza sociale, credo religioso o politico, professione, interessi.
Ad attrarre potrebbe essere la loro indipendenza che, come accade tra gli amanti, fa desiderare la creatura che si concede e sembra totalmente in nostro potere quando la abbiamo tra le braccia, ma che all’improvviso fugge lasciandoci un senso di incompiuto in un letterale “giocare con il topo”.
Il loro fascino ha catturato molte personalità illustri come il pittore Jacopo Robusti, noto come il Tintoretto, che spesso li ritraeva o Leonardo da Vinci che studiandoli, pare arrivò ad affermare che “Anche il più piccolo dei felini, il gatto, è un capolavoro”. In tempi più recenti, e solo per citarne alcuni: i pittori Henri Matisse, Marc Chagall e Andy Warhol, i cantanti Freddy Mercury e Nick Cave, le attrici Jane Fonda e Tilda Swinton. L’artista e writer Kenny Random, non manca di disegnare un gatto nei graffiti con cui decora le pareti della sua città.
Nemmeno gli scrittori sono esclusi dal carisma felino e se tra le pagine dei libri si affaccia spesso qualche gatto, molte volte da comparse diventano protagonisti.
L’interesse che suscitano viene da tempi lontani, già Esopo e Fedro ne parlavano nelle loro favole, è continuato con La Fontaine, passando per Perrault e il suo “Gatto con gli stivali”, ad “Alice nel paese delle meraviglie” di Lewis Carrol, per arrivare alla “Gabbianella e il gatto che le insegnò a volare” di Luis Sepulveda, senza dimenticare il ruolo del Gatto, truffatore assieme alla Volpe, nel Pinocchio di Carlo Lorenzini in arte Carlo Collodi. Gli animali sono per definizione gli interpreti delle favole ed è quindi naturale trovare dei gatti tra i personaggi.
Nel tempo si sono superati i confini del compito educativo e moralista, anche Edgar Allan Poe dedica infatti uno dei suoi racconti del terrore a “Il gatto nero” (1840), che descrive come “… un animale di notevoli proporzioni e bellezza, tutto nero e dotato di intelligenza sbalorditiva. A tale proposito, mia moglie, incline in cuor suo alla superstizione, faceva continue allusioni all’inveterata credenza popolare che considera tutti i gatti neri streghe travestite.”
Il gatto è qui considerato come simbolo di superstizione, non a caso viene spesso associato alla strega, come aiutante o creatura nella quale si tramuta, o al diavolo stesso. Come succede ne “Il maestro e Margherita” (1929-1940) di Michail Bulgakov dove il gatto Behemot si rivela nella sua natura di diavolo alla fine del romanzo. Del resto, per screditare creature libere che non si riusciva a domare è stata spesso loro attribuita un’indole malvagia. Così non stupisce che gatti, streghe e diavoli siano accomunati nelle credenze popolari, in molta letteratura, nelle sentenze dei processi per stregoneria, e gli vengano attribuiti caratteri dispettosi e infidi.
Il poeta Charles Baudelaire era invece ammaliato dai gatti a cui ha dedicato diverse poesie tra cui “Il gatto” (1857) da “I fiori del male”:
Vieni, mio bel gatto, sul mio cuore innamorato; ritira le
unghie nelle zampe, lasciami sprofondare nei tuoi occhi,
in cui l’agata si mescola al metallo.
Quando le mie dita carezzano a piacere la tua testa e il
tuo dorso elastico e la mia mano s’inebria del piacere di
palpare il tuo corpo elettrizzato,
vedo in ispirito la mia donna. Il suo sguardo, profondo e
freddo come il tuo, amabile bestia, taglia e fende simile a
un dardo, e dai piedi alla testa
un’aria sottile, un temibile profumo ondeggiano intorno
al suo corpo bruno.
Un gatto a cui non viene dato nemmeno un nome è la voce narrante in “Io sono un gatto” (1905) di Natsume Sōseki, pseudonimo di Kinnosuke Natsume. Con sguardo ironico osserva la vita che lo circonda, restituendo un interessante spaccato di un Giappone che cominciava ad aprirsi all’occidente.
Elsa Morante fu una “gattara” convinta, tanto da raffigurarsi in un autoritratto tra due felini, e a queste creature dedicò tre poesie. “Il canto per il gatto Alvaro” epilogo del suo romanzo d’esordio “Menzogna e sortilegio” (1948), e nella raccolta “Alibi” (1958) le liriche “Minna la siamese” e “Il gatto all’uccellino”.
Jack Kerouac era un amante dei gatti e nel suo romanzo “Big Sur” (1962) narra di come fu sconvolto dalla notizia della morte del suo adorato Tyke.
Italo Calvino in “Marcovaldo ovvero Le stagioni in città” (1963) affida ai felini il compito di lottare contro la speculazione edilizia nella novella “Il giardino dei gatti ostinati (Autunno)”.
In “Gatti molto speciali” (1967) Doris Lessing si avventura nell’interpretazione della psicologia felina, regalandoci un testo leggero e divertente ma che riesce, allo stesso tempo, ad essere malinconico.
Ne “Il gatto in un appartamento vuoto” da “La fine e l’inizio” (1993), Wislawa Szymborska esprime il dolore della perdita immedesimandosi nel sentimento della bestiola, e in maniera poetica e singolare rende il vuoto lasciato dalla morte.
Morire – questo a un gatto non si fa.
Perché cosa può fare il gatto in un appartamento vuoto? Arrampicarsi sulle pareti.
Strofinarsi tra i mobili.
Qui niente sembra cambiato,
eppure tutto è mutato.
Niente sembra spostato,
eppure tutto è fuori posto.
E la sera la lampada non brilla più.
Si sentono passi sulle scale,
ma non sono quelli.
Anche la mano che mette il pesce nel piattino
non è quella di prima.
Qualcosa qui non comincia
alla sua solita ora.
Qualcosa qui non accade
come dovrebbe.
Qui c’era qualcuno, c’era,
e poi d’un tratto è scomparso,
e si ostina a non esserci.
In ogni armadio si è guardato.
Sui ripiani è corso.
Sotto il tappeto si è controllato.
Si è perfino infranto il divieto
di sparpagliare le carte.
Cos’altro si può fare.
Aspettare e dormire.
Che provi solo a tornare,
che si faccia vedere.
Imparerà allora che con un gatto così non si fa.
Gli si andrà incontro come se proprio non se ne avesse voglia, pian pianino,
su zampe molto offese.
E all’inizio niente salti né squittii.
James Herriot, lo scrittore veterinario, ha narrato la sua esperienza professionale e il suo amore per gli animali in diversi libri ma, come scritto nell’introduzione di “Storie di gatti” (1994) dove sono raccolti episodi li vedono protagonisti, proprio i felini sono stati una delle ragioni principali per la scelta della sua carriera.
Charles Bukowski ammirava i gatti a cui si sentiva simile perché maestri nell’arte della sopravvivenza. Se ne circondava assicurando che hanno la capacità di calmare i nervi, così come la scrittura. In “Sui gatti” (2016) vengono raccolte poesie e altri testi inediti a loro dedicati.
La scrittrice Shifra Horn in “Gatti. Una storia d’amore” (2019), narra i piccoli fatti della vita quotidiana di una donna e di vari gatti, che considera amici tra i più speciali.
Si potrebbe scrivere un libro sugli autori che hanno amato i gatti e li hanno ritratti o che hanno provato a guardare il mondo attraverso i loro occhi di creature libere. Oppure si potrebbero studiare questi animali per cercare di comprendere il mistero che li circonda. Loro con una strizzata di occhi cercheranno di dirci che a volte si deve rinunciare a capire, bisogna arrendersi al fatto che la ragione non ha tutte le risposte e lasciarsi trasportare dalla passione senza porsi troppe domande.