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di Paolo Miggiano

Il saggio “A Napoli con Maurizio De Giovanni”, scritto da Vincenza Alfano, per Giulio Perrone Editore, non è affatto un libro sulle opere di Maurizio De Giovanni. Piuttosto è un viaggio. Un viaggio nella Napoli degli anni Trenta, attraverso i sensi e le emozioni del commissario Luigi Alfredo Ricciardi, il malinconico protagonista dei romanzi del celebre scrittore napoletano.

Il lavoro di reinterpretazione di Vincenza Alfano, scrittrice a sua volta e considerata una delle maggiori interpreti della cultura napoletana, non deve essere stato un percorso semplice. Leggere, come ha fatto Vincenza Alfano, Maurizio De Giovanni ed il suo melanconico commissario è cosa molto complicata. E se è stato esercizio letterario complicato per lei, figuriamoci come posso leggere, a mia volta, personaggi e scrittore, attraverso ciò che vede e legge Vincenza Alfano. Tuttavia ci provo.

Una lettura a tutto tondo di una città dalle mille contraddizioni. La penna della scrittrice ci conduce, con leggerezza, ma anche con l’occhio di chi della città è innamorata, per i vicoli di Napoli e lo sguardo è sempre quello del commissario Ricciardi e qualche volta anche del suo fidato brigadiere Raffaele Maione.

Si parte dall’elegante Caffè Gambrinus, dove il tempo sembra essersi fermato. Qui, dove è riservato un tavolo per l’investigatore più illustre della città, di buona famiglia, che dal Cilento ha scelto Napoli come luogo di lavoro e di residenza, ancora oggi lo si può immaginare seduto mentre mangia una sfogliatella e osserva il via vai di gente nella centralissima via Chiaia.

Dal Caffè Gambrinus, passando per il Teatro di San Carlo, il percorso si snoda nella città di Ricciardi, che a tratti sembra la Napoli attuale, una Napoli incapace di cambiare anche con il trascorrere del tempo, con le ferite dei Quartieri Spagnoli, con le sue miserie esibite, ma anche con le ricchezze delle dimore suntuose dei ricchi vecchi e nuovi. Una Napoli bifronte che convive e tollera benessere e povertà e dove i bassi sono “brulicanti di vita”. Di quella stessa vita che qui era ed è una scommessa.

Allora come oggi, Napoli, nella sua ambivalenza di città in cui convivono miseria e nobiltà, ricchezza e povertà, dove a nessuno importa di ridurre certe distanze, Vincenza Alfano ci fa riflettere su come, oggi come allora, questa sia anche una città in guerra. Una guerra di tutti contro tutti, caotica, magmatica, che rende plausibili e sbagliate tutte le scelte. In questa guerra non si muore da soldati ma da semplici cittadini e il nemico è spesso uno sconosciuto o un fratello.

Le distanze sembrano brevi tra la Napoli degli anni trenta e quella contemporanea e così se non sei di Napoli rischi di non comprendere una città simile. È successo a me, che come Ricciardi a Napoli ci sono arrivato tanti anni fa e non me ne sono più andato. E se questo è successo è solo perché Napoli la capisci anche attraverso le parole degli scrittori come Vincenza Alfano e Maurizio De Giovanni.

Vincenza Alfano ci rimanda ad un Ricciardi quasi epico, che non sa abituarsi alla morte, soprattutto se si tratta della morte dei bambini e che restituisce seppur a posteriori un ordine alle cose. Un Ricciardi incapace ad abituarsi a vedere un uomo morto ha la necessità di intristirsi: un urlo appena bisbigliato e si diventa tristi per forza a vedere i bambini. È un Ricciardi, quello raccontato da Vincenza Alfano, capace di riconoscere gli indizi da certi dettagli, perché troppi fatti non sono affatto così come appaiono. E come fa lo scrittore anche Vincenza non è da meno nel raccontare descrivendo e se volgiamo a descrivere raccontando. L’obiettivo è, appunto, uno solo: la narrazione.

La narrazione di Vincenza ci conduce in un viaggio in sette luoghi della città, che da Palazzo Reale, passando per il Teatro di San Carlo, si snoda tra via Chiaia, la strada dell’amore, dove tutti sanno che c’è un “paradiso”, il luogo tollerato da una certa Napoli e dove Vipera troverà la morte, fino a Mergellina e i nascenti palazzi di una borghesia fascista, che ancora lasciano spazio alla povertà. Ed è chiara, sia in De Giovanni, che in Vincenza Alfano, la sottolineatura contro un regime che opprime e che rischia persino di mandare al confino un uomo buono come il dott. Modo, il simpatico medico legale di cui Ricciardi è anche amico. È un viaggio nelle malinconie di chi dal porto parte, prendendo il mare e lasciando una città senza vie d’uscita, ma anche quelle di chi ha il coraggio di restare. Vincenza ci restituisce un volto di “una città dolente che respinge e attira, dove partire e restare sono comunque un atto di assoluta resistenza”.

In una città abituata ad urlare, dalle ferite dei quartieri spagnoli, dal Borgo orefici dove allora come oggi resistono piccole botteghe di artigiani dell’oro, si comincia a salire per Capodimonte fino ad arrivare alla città nuova, il Vomero, che comincia a non essere più solo campagna, ma che ancora non è del tutto città.

Percorrendo questa città, a volte dolente ed a volte proiettata verso il futuro, nel saggio di Vincenza la vediamo, la osserviamo, la ascoltiamo. Attraverso lo sguardo, i sensi e i sentimenti del commissario Ricciardi, però, di Napoli ascoltiamo anche i silenzi. Con lui, ci intrufoliamo nella cucina di Rosa o di Lucia, la moglie di Maione, per annusare gli odori del ragù della domenica o di quello alla genovese, per sentire il profumo dei fiori di arancio che emana la pastiera.

E, leggendo Vincenza Alfano, ascoltiamo anche il vento, che urla sugli scogli e, con il freddo, i varchi profondi aperti in una città dalle tante contraddizioni e mutevole, come mutevoli sono i destini di Ricciardi e Maione. Sarà il vento, infatti, a condurci nella stanza di Livia. E saranno gli arredi, i quadri, i tappeti, le finestre, gli androni, i terrazzi, le scale, le piazze e i portoni che ci indurranno a prestare attenzione ai dettagli di una Napoli sdoppiata. Così Vincenza è alla ricerca di dettagli e su di essi si sofferma, indagandoli: un’indagine nelle indagini di Ricciardi. Ed è in questa indagine profonda che Vincenza Alfano, allo stesso modo in cui Ricciardi getta luce dove c’è ombra, dove il mistero diventa fitto e indecifrabile, svela il personaggio ed il suo sentimento di dolore che attraversa davanti alle miserie ed alla morte.

Luci, ombre, profumi, amore, gelosia, tradimenti, dolore, voci, musica e Vincenza Alfano non poteva far calare il sipario senza condurci nella musica antica della città di Ricciardi, sollecitandoci all’ascolto ed al sogno, “perché tutti ne abbiamo diritto”.

VINCENZA ALFANO

A NAPOLI CON MAURIZIO DE GIOVANNI

GIULIO PERRONE EDITORE

EDIZIONE MAGGIO 2018

PAG. 211

€ 12,00

News Reporter
Un uomo controcorrente, che crede nelle persone e nell'affermazione dei diritti di libertà. Dentro ad una divisa grigio verde i fumi dei lacrimogeni, gli spari, le botte - quelle prese e quelle date - la guerriglia nelle piazze di Milano, Genova, Torino, Roma, Reggio Calabria, Aspromonte, Palermo e le gambe che gli tremano ed il cuore che batte, forte. Rammenta i compagni feriti e quelli caduti e pensa che è fortunato che non sia toccato a lui. E poi apprende che un intellettuale, Pier Paolo Pasolini, aveva parlato di lui e di quelli come lui e aveva detto che, mentre a Valle Giulia (1968 e lui era ancora un bambino) altri giovani facevano a botte con quelli come lui, egli stava - “simpatizzava” - dalla sua parte, perché i poliziotti sono figli di poveri. E capisce che può farcela, che c’è, forse, una strada, per ottenere i diritti, che ancora non ha. Ed è su questi ideali, che Paolo Miggiano ha camminato.
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